domenica 3 dicembre 2017

No, non posso passarti lo zucchero: mi hai appena spezzato il cuore

Illustrazione di Simone Rotella
Nathan Englander *
Una mia amica, più o meno della mia età, tornando nella sua città natale si è imbattuta al supermercato nel padre di uno dei suoi amici di quando erano ragazzi. Lo ha avvicinato e si è presentata: «Signor Boyer, sono io, Amanda, della classe di Darren, andavo a scuola con suo figlio». Il signor Boyer l’ha guardata e ha detto: «Sono io. Sono Darren. Sono io, quello della scuola».  

Questa storia mi piace perché mi fa orrore. Ho una paura al limite della fobia dei segni visibili dell’invecchiamento, un terrore innaturale che non riesco a dominare. Mia madre ha cresciuto me e mia sorella nell’insofferenza verso tutto quello che è apparenza, ingigantendo ai nostri occhi ogni poro e foruncolo, educandoci a un’autocritica che trasformò quasi in arte. Se ci fosse stato un simbolo che rappresenta la paura dei difetti fisici, sarebbe stato raffigurato sullo stemma della nostra famiglia, tenuto negli artigli da un’aquila. 

Eravamo umili, io, mia sorella e mia madre. Non abbiamo mai osato pensare che chiunque, ovunque, potesse per un solo secondo pensare bene di noi. Non tolleravamo alcun favore dagli altri. Ci riesce tuttora molto male discostarci dagli insegnamenti di nostra madre. Ma potrebbe forse trattarsi di un narcisismo volto al negativo? La nostra famiglia raggiunse l’eccellenza in materia: mia madre ci insegnò a credere che gli altri avrebbero potuto perdere il sonno, sfiorare addirittura la follia, se avessero notato che i jeans ci stavano stretti perché eravamo ingrassati. 

Mia madre ci ha insegnato una serie di mantra utili a sopportare le nostre sofferenze: «È sempre meglio apparire bene piuttosto che stare bene», oppure «Solo le persone con gambe molto belle dovrebbero indossare un paio di shorts» (credo che mia madre non se li sia più messi dal 1979). Da ragazzo provai a rivedere alcune delle sue massime, per renderle più adatte all’auto-tortura di un maschio.
Per esempio, per anni ho limato una poesia: «Come il primo fiore di primavera, / i peli spuntano dall’orecchio di un uomo, / è il modo in cui la natura gli dice / che è giunto il tempo di morire». 

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