martedì 18 aprile 2017

Il fotoreporter di Rashideen: "Non mi sento un eroe, a volte bisogna aiutare invece di fare foto"


Intervista a Abd Alkader Habak, il reporter di 23 anni le cui immagini mentre soccorre i bambini feriti nell'attentato hanno fatto il giro del mondo 




"SI, ERO DISPERATO, piangevo senza sosta mentre provavo a salvare quel povero bambino e correvo il più veloce possibile verso l'ambulanza. Respirava a fatica. Mentre scappavo e piangevo sempre più forte, ho pensato al gas sarin che ha soffocato i poveri bambini di Khan Shaykun lo scorso 4 aprile. Quel giorno ho visto tanti piccoli morti, ma sono arrivato tardi e non ho potuto salvare nessuno. Stavolta invece una vita l'ho salvata, il destino ha voluto che io fossi lì".

Abd Alkader Habak ha 23 anni, è un giornalista siriano e sabato scorso era anche lui nei pressi di Aleppo, per documentare l'arrivo di civili in fuga da Foua e Kefraya, due villaggi siriani circondati dai miliziani anti Assad. Era un accordo mediato da Iran e Qatar: i cittadini (e combattenti) sciiti assediati nelle enclave sunnite in cambio di sunniti e ribelli intrappolati altrove. Poi un'esplosione devastante ha squarciato l'ennesima esile tregua della Siria: un kamikaze su un'auto che apparentemente portava aiuti si è lanciata contro gli autobus di civili in attesa di arrivare ad Aleppo: 126 morti. Tra questi 68 bambini. Un'ecatombe. Habak salva una vita e poi scoppia a piangere sul prato insanguinato, in una foto drammatica che fa il giro del mondo. Habak risponde a Repubblica via WhatsApp: è sunnita e anche sui social network non fa mistero di essere un fermo oppositore di Assad.

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