lunedì 27 febbraio 2017

Una tragedia di casa nostra

Reneuzzi è un paese abbandonato nell’appennino piemontese, in provincia di Alessandria. Situato ad oltre mille metri sul livello del mare, Reneuzzi è probabilmente uno dei paesi più isolati dell’intera penisola: non è collegato ad altri paesi tramite strade carrabili e l’unico modo per accedervi è un sentiero che da Vegni, situato ad un’ora di auto da Novi Ligure, porta al paese di Reneuzzi dopo due ore di cammino. Senza acqua corrente né elettricità, è inutile dire che il paese non è più abitato: dal 1961 qui non vi è più anima viva. Ora, questa storia è comune ad altri borghi montani e non ci sarebbe altro da analizzare se non il malinconico e inevitabile abbandono della montagna. Ma qui c’è qualcosa di diverso. Il paese non muore da solo, agonizzando lentamente tra partenze e vecchiaie. No, questa volta si porta con sé due vite e una storia d’amore e follia. Chi giunge a Reneuzzi viene presto incuriosito dal piccolissimo cimitero della frazione. In un recinto di cinque metri per tre, si trovano una dozzina di tombe ormai illeggibili, la cui datazione va dall’inizio del XX secolo al 1954. Poi, vi è una tomba meglio conservata di altre. Ha una bizzarra forma a casetta e appare sproporzionata rispetto alle dimensioni del cimitero. In basso c’è una lapide con una scritta: "Bellomo Davide, 12-5-1930 22-9-1961, papà e mamma dolenti". E’ l’ultimo abitante, morto a 31 anni. Siamo nel 1961, l’Italia corre verso il boom economico, le città brulicano di vita e nuovi quartieri spuntano ovunque, là dove prima c’era la campagna. Per un’Italia che cresce, un’altra arranca. La montagna si spopola e invecchia: gli anziani e i pochissimi giovani rimasti salutano ogni giorno qualcuno che se ne va, le porte si chiudono e nella maggior parte dei casi non verranno mai riaperte. Sono anni spietati per i paesi isolati, le curve demografiche precipitano. Reneuzzi paga una situazione anche peggiore di altri centri. Niente acqua, niente elettricità, niente terra e pochi pascoli. Mentre Milano esplode di luce, duecento chilometri più a sud c’è ancora chi vive senza lampadina e rubinetto. Estremi di un paese in fase di modernizzazione incompleta. A Reneuzzi se ne sono andati quasi tutti già nel primo dopoguerra. In quell’estate del 1961, nel paese non è rimasto che Davide Bellomo. Davide è fidanzato con Maria Franco (detta Mariuccia), ventenne di Ferrazza, paesino non lontano da Reneuzzi e in uguali condizioni di isolamento e conseguente spopolamento (oggi è anch’esso disabitato da molti anni). E’ una storia tormentata: i due sono cugini e la famiglia di lei, una delle ultime rimaste a Ferrazza, non vede di buon occhio la coppia. Un giorno di settembre, Maria comunica a Davide che se ne andrà con la famiglia in un paese del genovese, in cerca di lavoro e di una vita migliore. Davide non ci sta. Ha visto partire tutti gli amici di infanzia, morire gli anziani. E' rimasto solo, senza sapere dove andare. Non conosce il mondo al di fuori della sua montagna. Da un articolo dell’epoca si legge: “La ragazza, che in un primo tempo sembrò corrisponderlo, aveva poi respinto l’innamorato. Gli stessi genitori di lei erano contrari alla relazione, considerando gli stretti legami di parentela fra i due giovani. Il contadino non aveva saputo mai darsi pace e quando apprese che la famiglia della ragazza si sarebbe trasferita era passato alle minacce: ‘se parti, piuttosto ti sparo’ le disse un giorno. Così la mattina del 22 settembre scorso [1961] mentre la famiglia di Maria transitava, attese la ragazza che procedeva distanziata dai genitori. Nascosto dietro un cespuglio, quando Maria gli passò a pochi metri sparò due colpi con una vecchia rivoltella, un ricordo che il padre aveva portato dall’America. I colpi raggiunsero di striscio alla nuca la ragazza che trovò ancora la forza di fuggire per circa duecento metri, rifugiandosi in una baita in località. Il delitto venne scoperto due ore dopo e più nessuno vide l’assassino.” “Ieri [16 ottobre] un contadino di Reneuzzi ha scoperto il cadavere di Davide Bellomo. Il contadino quasi quotidianamente si reca col suo cavallo da Reneuzzi a Vegni e da due giorni notava che transitando in un tratto di sentiero incassato fra la roccia l’animale scalpitava e nitriva. Ieri pomeriggio, attratto anche da uno sgradevole odore, volle vederci chiaro e compì una battuta nella zona. Ad una cinquantina di metri dalla mulattiera, dietro un cespuglio, scoprì il cadavere che giaceva supino; la rivoltella era a poca distanza dalla mano destra. Oggi il cadavere è stato trasportato al cimitero di Vegni, dove domattina si recherà accompagnato da un medico, il Pretore di Serravalle Scrivia per le constatazioni di legge. È fuor di dubbio che il giovane si sia sparato con la stessa arma usata per uccidere Maria, e con ogni probabilità ha posto fine ai suoi giorni poco dopo il delitto, sconvolto forse dal suo folle gesto.” Sei è il numero di colpi confermati dalla perizia necroscopica, avvenuti in località Arvecchia. Altre fonti parlano di colpi di roncola, anche se la fonte più attendibile è l’articolo citato, tratto da La Stampa del 17 ottobre 1961, nella parte della cronaca del Basso Piemonte. Nei giorni successivi il delitto, sembra che l’ombra dell’omicida abbia continuato a terrorizzare gli ultimi abitanti di Ferrazza (perché a Reneuzzi non era rimasto più nessuno), invitandoli a lasciare quel luogo maledetto. E così, con il suo suicidio, Davide conclude anche la storia di Reneuzzi. La famiglia di Maria se ne andrà da Ferrazza e anche quest’ultimo paese saluterà la civiltà. Mariuccia verrà sepolta nel cimitero di Casella, a Genova. Di Reneuzzi parla il libro Sono partiti tutti di Giovanna Meriana e il documentario Case abbandonate di Alessandro Scillitani e Mirella Gazzotti. E’ una storia di isolamento sociale, di disagio psichico e imbruttimento dovuto all’abbandono e, forse, all’ignoranza. E’ la storia di Davide e Maria, nati nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Se fossero nati cento anni prima, la loro vita non sarebbe stata meno grama, ma avrebbero comunque vissuto una realtà diversa. Invece nacquero alla fine di un’era e furono travolti dal cambiamento. Altrove si iniziava a vivere bene, a circondarsi di agi e sorridere alla vita. Sulle montagne della val Borbera si subiva invece lo stato depressivo causato dalla fine di una civiltà. Chi visse quegli anni in quei posti, che la storia stava tagliando come una spesa inutile, dovette abbandonare quella vita o rimanerne imprigionato. Ma quel mondo non va dimenticato. Dimenticarlo significherebbe impoverire la nostra vita. Molti di noi discendono probabilmente da persone che vissero in luoghi come Reneuzzi, uomini e donne che se ne andarono in cerca di una vita migliore. Dimenticare quella storia è dimenticare la loro storia. La nostra. Quando un paese viene lasciato a morire, trascina con sé la storia degli uomini e delle donne che vi vissero. Le case crollano, ma non è il peso della storia a sfondare i tetti. E’ la dimenticanza.

Fonte

Domenica 26 febbraio: i Paesi fantasma


venerdì 24 febbraio 2017

Australia, al concorso di bellezza in sedia a rotelle: "Le disabilità non contano"

Le donne sono tutte speciali. E' il messaggio che vuole lanciare quest'annno Miss World Australia, concorso di bellezza a cui parteciperà per la prima volta una ragazza in sedia a rotelle. Il suo nome è Justine Clark, ha 26 anni e da due anni è costretta a muoversi su una carrozzella. Ma questo non l'ha fermata dal tentare di realizzare i suoi sogni. "Spero davvero che le persone capiscano che etnia, taglia, disabilità o qualsiasi cosa ti renda differente non sono importanti. Sei bella comunque", ha detto Justine. La ragazza non ha voluto rivelare ai giornali perché debba usare la sedia a rotelle. "Non importa cosa sia successo - ha replicato ai giornalisti - Voglio solo essere un modello per tutte le donne"

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domenica 19 febbraio 2017

'Insegnami l'arte dei piccoli passi'. La preghiera di Antoine de Saint-Exupéry vi toccherà l'anima


Antoine de Saint-Exupéry, autore del famosissimo 'Piccolo principe' (terzo libro più letto al mondo), è anche l'autore di questa preghiera. Non fu solo autore, ma fu anche aviatore e si arruolò con la marina militare francese durante la seconda guerra mondiale. Le sue esperienze in guerra furono fondamentali per la stesura delle sue opere.
Scritta in un periodo particolare della sua vita, l'autore introduce una tematica fondamentale: 'il passo dopo passo', sempre presente anche ne 'Il piccolo principe'. Questa è un'invocazione al Signore in cui Antoine lo prega di renderlo più riflessivo e di fare le giuste scelte, sottolineando proprio come i piccoli passi, giorno dopo giorno, passo dopo passo, lo aiuteranno a far fronte al presente, a quello che ogni giorno deve affrontare.
LA VERSIONE ORIGINALE
Seigneur, apprends-moi l’art des petits pas.
Je ne demande pas de miracles ni de visions,
Mais je demande la force pour le quotidien !
Rends-moi attentif et inventif pour saisir 
Au bon moment les connaissances et expériences
Qui me touchent particulièrement.
Affermis mes choix 
Dans la répartition de mon temps.
Donne-moi de sentir ce qui est essentiel 
Et ce qui est secondaire.
Je demande la force, la maîtrise de soi et la mesure, 
Que je ne me laisse pas emporter par la vie, 
Mais que j’organise avec sagesse 
Le déroulement de la journée.
Aide-moi à faire face aussi bien que possible 
A l’immédiat et à reconnaître l’heure présente 
Comme la plus importante.
Donne-moi de reconnaître avec lucidité
Que la vie s’accompagne de difficultés, d’échecs,
Qui sont occasions de croître et de mûrir.
Fais de moi un homme capable de rejoindre
Ceux qui gisent au fond.
Donne-moi non pas ce que je souhaite,
Mais ce dont j’ai besoin.
Apprends-moi l’art des petits pas!
LA TRADUZIONE IN ITALIANO
Non ti chiedo né miracoli né visioni
ma solo la forza necessaria per questo giorno!
Rendimi attento e inventivo per scegliere
al momento giusto
le conoscenze ed esperienze
che mi toccano particolarmente.
Rendi più consapevoli le mie scelte
nell’uso del mio tempo.
Donami di capire ciò che è essenziale
e ciò che è soltanto secondario.
Io ti chiedo la forza, l’autocontrollo e la misura:
che non mi lasci, semplicemente,
portare dalla vita
ma organizzi con sapienza
lo svolgimento della giornata.
Aiutami a far fronte,
il meglio possibile,
all’immediato
e a riconoscere l’ora presente
come la più importante.
Dammi di riconoscere
con lucidità
che le difficoltà e i fallimenti
che accompagnano la vita
sono occasione di crescita e maturazione.
Fa’ di me un uomo capace di raggiungere
coloro che hanno perso la speranza.
E dammi non quello che io desidero
ma solo ciò di cui ho davvero bisogno.
Signore, insegnami l’arte dei piccoli passi

giovedì 16 febbraio 2017

Uomini e donne, la differenza sta nel cervello, di Ornella Nalon

La donna è più intuitiva dell’uomo: nel cervello maschile le connessioni tra i neuroni corrono solo lungo lo stesso emisfero, mentre nella donna sono anche trasversali, dall'emisfero destro, legato all'intuizione, a quello sinistro, logico.

Le donne lo sanno
c'è poco da fare
c'è solo da mettersi in pari col cuore
lo sanno da sempre
lo sanno comunque per prime

le donne lo sanno
che cosa ci vuole
le donne che sanno
da dove si viene
e sanno per qualche motivo
che basta vedere.
Recita così una famosa canzone di Ligabue. “Le donne lo sanno…comunque per prime” a volere sottintendere che, al contrario, gli uomini non hanno le stesse intuizioni oppure, bene che vada, le recepiscono con maggior ritardo. A mio avviso, Ligabue, oltre a essere un bravissimo cantautore, è pure sagace, poiché ci riconosce questa peculiarità.
“Ecco un’altra femminista con i suoi luoghi comuni”probabilmente penserà qualche maschietto. Ebbene, in effetti, un po’ femminista lo sono, poiché ritengo che la parità dei diritti tra uomo e donna sia una giustizia sociale che debba essere perseguita e ottenuta e che, nonostante nel tempo si siano raggiunti dei buoni progressi, ne siamo ancora molto lontani.
Per quanto riguarda i luoghi comuni, invece, posso dissentire categoricamente.
Ritenere che la donna sia più intuitiva dell’uomo, anche se è da anni che personalmente lo sostengo, ora è supportato anche dalla scienza che ha eseguito degli studi specifici sul cervello degli uomini e delle donne.

Che il cervello dell'uomo, in media, fosse più pesante di quello della donna, già si sapeva. 

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Oggi mi masturbo in autobus così ottimizzo i tempi, di Giulia Mastrantoni

Dal 15 gennaio 2016, in Italia gli atti osceni in luogo pubblico non sono più reato: chi si masturba su un autobus, ad esempio, se la cava con una multa. Si può definire questa libertà civile? Evoluzione dei costumi? Certo è che, da qui a perdere ogni senso di civiltà, è un attimo...

Oggi sarebbe dovuta essere una mattinata tranquilla, secondo i miei piani. Avevo spento il telefono, preso un libro e deciso di rilassarmi, e così ho fatto. Quando ho riacceso lo smartphone, però, una volta effettuato l’accesso a Facebook, ho trovato un link pubblicato da un amico: si trattava di un articolo de «Il corriere» dal titolo Atti osceni sul bus. Denuncia rifiutata.

Per chi non conoscesse la vicenda: a Roma una donna è stata testimone dell’atto masturbatorio di un uomo in autobus, rivolto proprio a lei, che ha avuto la prontezza di filmare il tutto e portare il video alla più vicina stazione di polizia, dove si è sentita rispondere che compiere atti osceni in luogo pubblico era reato fino al 15 gennaio 2016, mentre ora è stato depenalizzato: vuol dire che chi si masturba in pubblico se la cava con il pagamento di un’ammenda. La cosa è fortunatamente diversa nel caso siano coinvolti minori, ma per approfondimenti vi incoraggio a cliccare sul link all’articolo originale.

Come faccio sempre quando una tematica mi interessa, sono andata a leggere i commenti che erano stati postati sotto l’articolo. Ѐ stata la parola moralismo a farmi decidere di scrivere il mio commento. Questo, e il fatto che il ragazzino che ha scritto “Ma basta con questo moralismo da due soldi!” abbia 19 anni e domani sarà un uomo nella nostra società. Ma su questo torneremo dopo.
 
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mercoledì 15 febbraio 2017

La commovente storia di Mike e Julie: marito e moglie malati di tumore, muoiono mano nella mano…

I tre figli raccontano la grande storia d’amore dei loro genitori. Inattaccabile fino all’ultimo respiro. Facendo commuovere il mondo intero

Malati entrambi di cancro, muoiono tenendosi per mano a soli cinque giorni di distanza l’uno dall’altro: è la commovente storia di Julie e Mike.
 
LA STORIA - Si chiamavano Julie e Mike, marito e moglie ancora piuttosto giovani: 50 anni lei, 57 lui. Ma accomunati da un destino tragico: nel 2013 viene diagnosticato a Mike un tumore al cervello. Julie lascia il lavoro e decide di stargli accanto tutti i giorni, assistita dai loro tre figli, ancora giovanissimi: Luke, 21 anni, Hannah, 18 e Oliver, 13.

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mercoledì 8 febbraio 2017

La nostra vita...


Un po' di Pane - una crosta - una briciola -
Un po' di speranza - una damigiana -
Possono tenere viva l'anima -
Non grassa, badate! ma palpitante - calda -
Consapevole - come il vecchio Napoleone,
La notte prima dell'incoronazione!
Una sorte modesta - Una fama piccina -
Una breve Campagna di amaro e dolce
È molto! È abbastanza!
Il compito di un Marinaio è la riva!
Del Soldato - I proiettili! Chi chiede di più,
Deve cercare nell'altra vita!


giovedì 2 febbraio 2017

“Amore che Vieni, Amore che Vai”

«Quei giorni perduti a rincorrere il vento
a chiederci un bacio e volerne altri cento
un giorno qualunque li ricorderai
amore che fuggi, da me tornerai».
 




I dieci versi dalle canzoni di Battiato da appuntarsi e non dimenticare

Il cantautore, morto ieri nella sua residenza di Milo, era nato a Jonia il 23 marzo del 1945. Ha spaziato tra una grande quantità di generi,...