Dopo 11 ore nel pronto soccorso dell’ospedale SS. Antonio e
Biagio e Cesare Arrigo di Alessandria, ho creduto ci avessero
dimenticato. Poi ho iniziato a osservare i volti dei dottori e infermieri che di ora in ora
cambiavano fisionomia per la stanchezza, gli occhi con il panico di chi
deve ogni minuto decidere chi far passare prima, le voci frustrate che
al telefono imploravano i reparti per trovare un letto ai più gravi. Al
cambio turno la dottoressa Simo ci fa entrare, sorride e, mentre cerca
di fermare l’emorragia alla mia mamma, le posa un bacio sulla guancia.
C’è tutto in quel bacio: la stanchezza, le scuse per averci
fatto aspettare, la gioia per essere riuscita a vedere negli esami, tra
centinaia di valori, uno che nessuno aveva notato, e che spiegava quello
che stava accadendo. Ho sentito dottoresse promettere ai figli che
sarebbero andate a casa di lì a poco, ma continuare a lavorare oltre il
turno, a combattere con strutture inadeguate, in cambio di un «grazie»
dai pazienti, se va bene; di insulti, se va male. Di queste persone e
delle loro battaglie quotidiane non importa a nessuno: ne scriva lei.
—SIMONA
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