venerdì 30 dicembre 2016

Santi e poeti


Bisogna essere santi
per essere anche poeti:
dal grembo caldo d’ogni nostro gesto,
d’ogni nostra parola che sia sobria,
procederà la lirica perfetta
in modo necessario ed istintivo.

Noi ci perdiamo, a volte, ed affanniamo
per i vicoli ciechi del cervello,
sbriciolati in miriadi di esseri
senza vita durevole e completa;
noi ci perdiamo, a volte, nel peccato
della disconoscenza di noi stessi.

Ma con un gesto calmo della mano,
con un guardar “volutamente” buono,
noi ci possiamo sempre ricondurre
sulla strada maestra che lasciammo,
e nulla è più fecondo e più stupendo
di questo tempo di conciliazione.


“Santi e poeti” di Alda Merini (1931-2009) è la prima poesia conosciuta della poetessa milanese. Questo inedito datato 2 dicembre 1948, pubblicato su La Repubblica nel quinto anniversario della morte nell’articolo di Vito Mancuso “Essere santa senza Dio. I primi versi di Alda Merini“, precede di 20 giorni la poesia “Il gobbo” del 22 dicembre 1948, prima pubblicazione dell’autrice a 17 anni.

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giovedì 29 dicembre 2016

Il mistero delle banconote da 50 euro che piovono dal cielo

Banconote da 50 euro che piovono dal cielo. Non è l’ennesima bufala, ma ciò che è realmente accaduto a Mozzo, piccolo paesino in provincia di Bergamo, dove dal cielo hanno iniziato a cadere in strada diverse banconote da 50 euro. Tutta colpa di un papà distratto che, nel portare i bambini a scuola, ha dimenticato il portafoglio sul tettino della macchina. Nella fretta il padre di famiglia ha lasciato sull’auto il portafoglio e, quando è partito in direzione della scuola, si è aperto, liberando nell’aria le banconote da 50 euro.

Il denaro è volato in cielo, cadendo sul marciapiede. Poco dopo una signora ha ritrovato il portafoglio vuoto e, tramite i documenti all’interno, ha rintracciato il proprietario. E le banconote? A ritrovarle per strada è stato un anziano che ha raccolto anche un bigliettino da visita. Grazie a quest’ultimo il denaro è tornato nelle mani del suo legittimo proprietario. L’uomo ha offerto al pensionato una ricompensa, ma lui ha rifiutato: “Non la voglio – ha spiegato l’anziano – la dia alla parrocchia per i poveri”. E così è stato.

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martedì 27 dicembre 2016

"Palle di Natale", la hit che arriva da Milano. E ha uno scopo nobile

L’hanno scritta e cantata i ragazzi dell’Istituto nazionale tumori del capoluogo lombardo. Oltre due milioni e 400 mila visualizzazioni in poche ore per il video della canzone. Il ricavato sarà devoluto in beneficenza

La hit di Natale arriva quest'anno dai ragazzi dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano (Getty Images)

Si intitola “Palle di Natale (Smile, it’s Christmas day)” il nuovo "tormentone" di Natale che è diventato virale nel giro di 24 ore. La canzone è stata scritta e cantata dai ragazzi del “Progetto giovani”, portato avanti dal reparto Pediatria dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. I ragazzi dell’Istituto hanno "messo in musica" le loro feste in corsia facendosi conoscere non solo in Italia, ma anche nel mondo. Oltre due milioni e 400mila visualizzazioni su Youtube. E la canzone è scaricabile anche da iTunes. Il ricavato sarà destinato all’Associazione Bianca Garavaglia.

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lunedì 26 dicembre 2016

Mi piacerebbe...

"Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.
Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi.
Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell'anonimato.Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi.Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere.
Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia.È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un'oasi nei recessi della nostra anima.
È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita. Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti.
È saper parlare di sé.
È aver coraggio per ascoltare un "No".
È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta.
È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono.
Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice.
È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”.
È avere il coraggio di dire: “Perdonami”.
È avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”.
È avere la capacità di dire: “Ti amo”.
Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice ...
Che nelle tue primavere sii amante della gioia.
Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza.
E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo.
Poiché così sarai più appassionato per la vita.
E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta.Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza.
Utilizzare le perdite per affinare la pazienza.
Utilizzare gli errori per scolpire la serenità.
Utilizzare il dolore per lapidare il piacere.
Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell'intelligenza.
Non mollare mai ....
Non rinunciare mai alle persone che ami.
Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!"


Papa Francesco

martedì 20 dicembre 2016

"Gesù Bambino, cerca di non far licenziare mamma": la lettera della bimba di Brindisi

La piccola è figlia di una dei 120 dipendenti della Santa Teresa che dal 31 dicembre non avranno più un contratto. La madre: "Ho sempre cercato di non parlare in casa della mia situazione" di SONIA GIOIA


BRINDISI - "Caro Gesù Bambino, fa che la mamma non le danno fastidio e che non la licenziano, e poi dobbiamo essere generosi". Con queste parole inizia la letterina di Natale di Sofia, 8 anni compiuti il 20 dicembre, figlia di una impiegata della ditta Santa Teresa che dal 31 dicembre rischia di restare senza lavoro, al pari dei 120 lavoratori della società partecipata della Provincia di Brindisi.

La bimba ha consegnato la lettera nelle mani della mamma con la raccomandazione che fosse data al destinatario, che per la prima volta da quando ha imparato a scrivere non è Babbo Natale. I primi a restarne sorpresi, e commossi, sono stati i genitori. "Io evito di parlare di questioni di lavoro davanti alle bambine", spiega la donna, 35 anni, impiegata amministrativa della società in liquidazione falcidiata dai tagli agli enti locali.


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L'insegnante scrive una nota a un ragazzo disabile, la risposta della mamma è perfetta

“Oggi Adriano si è comportato male in classe”. Il motivo? “Anche se richiamato più volte ha continuato a fare dei piccoli rutti, disturbando la lezione”. Questa è la nota firmata da un insegnante di sostegno di una scuola media di Roma, in zona Monte Mario. Tutta colpa di quei piccoli ma continuativi rumori. Un dispetto per l’insegnante, un modo per comunicare un disagio per il ragazzo. Adriano ha 13 anni, frequenta la prima media ed è affetto da un ritardo cognitivo grave. All’età di un mese un attacco di bronchiolite, un’infezione virale acuta, e la conseguente mancanza di ossigeno per un tempo troppo lungo gli hanno provocato una lesione cerebrale da cui non si è più ripreso. Non parla, non scrive e, spiega la mamma, “non sa neanche cosa sia una nota”. Ma Lucia, 49 anni, dopo aver letto l’appunto stizzito dell’insegnante di suo figlio non si è scomposta. Su quello stesso quaderno a quadretti grandi ha risposto con ironia: “Ho sgridato Adriano per il suo comportamento. La nota positiva è che i rutti erano piccoli perché a casa li fa grandi”. Firmato: “La mamma”.

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L’ultima volontà del bimbo era vederlo, muore tra le braccia di Babbo Natale: l’intervista

 

 

sabato 17 dicembre 2016

Gli angeli non hanno polvere da sparo


C’è un Isis buona e un Isis cattiva. La seconda è a Mosul e si fa scudo con i civili, la prima è ad Aleppo e si fa scudo con i civili. La differenza la fa chi gli spara addosso. La coalizione Occidentale è buona e a Mosul ci sono terroristi da cacciare. Quella Russa è cattiva e allora, in Siria, ci sono solo dei buoni diavoli.
La verità è che il diavolo ha un colore solo, rosso sangue, e l’uomo è un toro con il vizio della morte.
Paul Lessanges
Fonte

mercoledì 14 dicembre 2016

Arrivederci Francesca

Wondy ci ha lasciato. E’ morta l’11 dicembre. E’ morta di cancro, una malattia che lei ha sempre chiamato per nome. Mai dire “male incurabile” o “lunga malattia”. Perché Wondy era così: schietta, sincera, combattiva, ironica, creativa. Un vulcano.



Chi legge questo blog penserà “Wondy è stata sconfitta”. Sì, ha perso la guerra, ma ha vinto tante battaglie. E soprattutto ha insegnato a tante donne e uomini il coraggio. Lottare con il sorriso. Strappare pezzi di vita. Radersi la testa dopo la chemio ed essere bellissima. Fare la chemio rossa e paragonarla a una sangria.

Wondy non era una santa e fino all’ultimo ha chiesto che venissero raccontati di lei anche i difetti. Il modo migliore per ricordarla sono le parole del marito Alessandro Milan. Parole che lette fino in fondo restituiscono il senso dell’amore e della vita. Il senso di Wondy


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venerdì 9 dicembre 2016

Cosa serve per essere davvero felici?, di Angelo Gavagnin

Gli americani lo hanno addirittura messo nella costituzione: ogni persona ha diritto alla felicità o ha diritto di usare tutte le sue forze per arrivarci. Ma cosa serve, davvero, per essere felici?

Vedo molte persone intelligenti e infelici. Come mai? Un essere intelligente dovrebbe essere anche felice, altrimenti mi viene da pensare che non usi bene la sua intelligenza. Certo, la usiamo per guadagnare sempre più soldi, per poi comprare auto sempre più grandi che non riusciamo più a parcheggiare e ci rimaniamo chiusi dentro. Prigionieri del nostro lusso. Poi, ad un certo punto, ci abituiamo anche al nostro tanto desiderato ma inutile macchinone e ci viene a noia, magari pensiamo: "Ma quanto è bello fare una passeggiata?".

Tanti soldi, tanto potere, tanto sesso ma... che noia, la solita routine! Ti abitui e pensi "ma quanto sarebbe bello che nessuno mi cercasse?", saper godere di un tramonto da soli. Cose semplici, eppure sembra una felicità difficilissima da raggiungere.

Un amico mi diceva: «Che bello sarebbe questo panorama con una bella ragazza di fianco». Come se ci fosse sempre una condizione da porre. La felicità è, molte volte, legata alla proprietà di oggetti, alle relazioni con le persone o con animali che diventano parte della famiglia. Naturale che sia una felicità effimera. L'oggetto ti annoia dopo qualche tempo, è inevitabile. Anche le persone, se il rapporto non diventa profondo, poi ti stancano. Il rapporto con il cane dura di più, dura tutta la vita: la sua, certo, e quindi forse per il semplice fatto che sia relativamente breve. Mah...
Un mio amico, che faticava a ricordare i nomi, ha chiamato il suo cane "Cane". Che bellezza! Il rapporto era felice, semplice e scontato. Il nome pure. Anche con la moglie sembrava felice quando le rispondeva al telefono diceva sempre: «Ciao amore... A che ora torni amore... Sei a casa amore?». Una volta gli ho detto: «Che bello, dopo quarant'anni di matrimonio ancora chiami tua moglie amore!». Lui mi ha risposto che, in realtà, non si ricordava più come si chiamava. Era felice così, con rapporti semplici e insulsi.

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venerdì 2 dicembre 2016

Idea regalo: Le tre resurrezioni di Sisifo Re

Siamo all'inizio del XXIII secolo, in una megalopoli di quasi 19.000 km2 e 40 milioni di persone. Il tiranno è stato deposto, giustiziato tramite impiccagione, e nella città si scatena una guerra civile di tutti contro tutti, con a capo delle fazioni i figli dell'ex dittatore. In uno scenario di guerra condotta strada per strada si muovono personaggi di ogni risma. Tra tutti spicca Sisifo, un detective folle vestito e truccato in modo improbabile, schiavo della malattia del sonno e della depressione e imbrigliato in uno stile di vita bizzarro. Con lui il suo assistente Oscar Orano detto Oh-Oh - parziale voce narrante - radiato dalla società civile. I due, ingaggiati dalla bellissima e intrigante Selina Corbeves, devono investigare sull'omicidio del marito della donna. Un assassinio ancora di là da venire. Sisifo si affida ai consigli del professor Zoro, anziano alienista che vive blindato all'interno dell'università con un assistente gobbo, un molosso e un pericoloso anaconda... Ogni tanto una macchina spazio-temporale permette a Oscar di sperimentare un fatale sdoppiamento: il mondo folle nel quale vive si ribalta in una pseudorealtà dove ogni personaggio ha il proprio ruolo invertito rispetto alla vicenda. Tutto è destinato a concludersi nell'Isola, la zona storica della megalopoli. Là, tra crocifissioni e verità svelate, accadrà qualcosa di inimmaginabile.

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lunedì 28 novembre 2016

Omaggio a Fidel * di Lia De Feo

Io non ho amato Cuba, nei tre anni trascorsi a studiare lì. Tanto è vero che mi spostavo in Messico ogni volta che potevo, e alla fine a Cuba ci avrò trascorso un anno e mezzo in totale. Non l’ho amata perché amo poco le isole, in generale, e perché i cubani mi davano sui nervi, parecchio. E la pativo: l’embargo è uno stillicidio di cose che non funzionano, che non si trovano, che sono difficilissime da fare.
L’embargo crea paesi logoranti dove la sopravvivenza è legata all’organizzazione che ti dai, e dove tu, straniero, sei sempre in torto: perché hai più soldi – credono loro – e vieni dalla parte di mondo che la vorrebbe vedere cadere, Cuba, e l’isola risponde togliendoti ogni tratto umano e trasformandoti in un portafogli che cammina, caricaturizzandoti nel cliché dello straniero a Cuba che, nove volte su dieci, non è una bella persona.
Io, quindi, ogni volta che potevo prendevo il mio Cubana de Aviación e in 50 minuti ero in Messico, dove la gente era normale e non si aspettava di essere pagata anche solo per rispondere a un “buongiorno”. E dove, perdonatemi, mangiavo: un’insalata che non fosse di cavolo, una minestra che non fosse sempre e solo di riso con fagioli, un frutto che non fosse l’unico che si trova a Cuba di trimestre in trimestre. Un’introvabile patata. Un gelato che non fosse stato scongelato e ricongelato quaranta volte. A Cuba, a meno che tu non voglia spendere molti soldi – e anche lì, uhm – apprendi cos’è la deprivazione sensoriale, dopo mesi passati a provare un sapore solo. Io a Cuba una volta sono quasi svenuta in un supermercato, dopo due giorni trascorsi all’infruttuosa ricerca di un pomodoro. Il corpo ti chiede certe vitamine, certi sali minerali, e tu non riesci a darglieli. Atterravo in Messico e, i primi due giorni, mi strafogavo.
Eppure, Cuba funzionava. A modo suo. Davanti a ogni facoltà, all’università, c’era una targa che ringraziava la tale Comunità Autonoma spagnola che aveva finanziato il sistema elettrico. All’interno della facoltà sembrava di essere negli anni 50 dopo un bombardamento: banchi, cattedre, lavagne, tavoli sbilenchi, lampadine a intermittenza, computer e telefoni arcaici, sedie metalliche incongruenti, tutto in rovina, tutto cadente, e in mezzo a tutto questo professori trasandati, sciupati, malvestiti, che però ti facevano lezioni durante cui il tempo volava, che sapevano quello che facevano, che erano bravi. A volte proprio bravi. L’assoluta incongruenza tra lo squallore del luogo e la qualità delle parole. E la serietà, la severità, l’inflessibilità dietro la trasandatezza. La gente che ho visto bocciare all’esame di dottorato. L’incongruenza che tu, straniera, avvertivi tra come si presentava il tutto e la loro altissima considerazione di sé. Perché i cubani hanno un’immensa stima di sé. I cubani si sentono speciali, bravissimi, una specie di razza eletta. E questo non te lo aspetti, da un paese che cade a pezzi. E siccome te la fanno pesare, la loro presunzione, la loro certezza di essere degli immensi fighi, un po’ li strozzeresti e un po’ ti ritrovi ad ammettere che tutti i torti non ce li hanno. Li strozzeresti per i modi, ma poi devi ammettere che la loro forza è tutta lì. Nel sentirsi i migliori di tutti e quelli che non hanno paura di nessuno.

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domenica 27 novembre 2016

Argini e ponti ad arcata unica. Così si è scongiurata la strage

Ventidue anni fa il Piemonte contò 70 vittime e danni per miliardi di euro. Oggi l’acqua fa meno paura grazie agli interventi e al dialogo tra Comuni


CEVA (Cuneo)
Alcuni giorni di pioggia. E ventidue anni fa, il 5-6 novembre ’94, il Tanaro e gli affluenti in piena sconvolsero la geografia del Basso Piemonte. Le colline cedettero come ferite da profondi graffi. L’acqua arrivò ovunque e quando si ritirò portò con sè 29 vittime nella sola provincia di Cuneo. Una settantina in Piemonte. La più piccola, Riccardo Sobrino di Alba, aveva solo 5 anni. Ponti crollati, frane che sbriciolarono le montagne, strade ridotte a brandelli rubarono la vita a coppie, pensionati, giovani. Danni incalcolabili, per centinaia di miliardi tra rimborsi ai privati, attività commerciali e industriali, opere pubbliche. Anni di lavoro per riportare la situazione alla normalità.

Città e paesi che cambiarono, comunque, volto per sempre. Su «La Stampa» di lunedì 7 novembre ’94, Nuto Revelli scrisse: «La speranza è che questa lezione non si ripeta. Tornerà il sole. Si ricostruiranno le strade e i ponti. Ma dovremo uscire dall’ignoranza di sempre. O impareremo a rispettare il territorio o questa storia continuerà a ripetersi». Profetico. Ma la memoria è servita per far sì che negli anni a venire nuove alluvioni provocassero sempre meno disastri. E questa volta il Piemonte e i piemontesi si sono fatti trovare pronti. «Cittadini e amministratori ne hanno fatto tesoro - dice l’attuale assessore regionale alla Protezione civile, Alberto Valmaggia -. Dai fatti del ’94 sono nate una nuova coscienza, preparazione e consapevolezza dell’importanza della tutela del territorio. Ne fanno parte anche le esercitazioni costanti che, anche adesso, hanno evitato guai peggiori».

Ventidue anni fa a dare l’allarme fu, con un fax alla Prefettura e al Magistrato del Po, il sindaco di Ceva Gianni Taramasso. Che ebbe la felice intuizione di far sgombrare le scuole e chiudere i ponti. «Niente di scritto o codificato - ricorda -, fu solo buon senso».
Dal ’94 al 2016, tecnici, sindaci, Regione, Aipo hanno predisposto piani idrogeologici, andando a intervenire là dove possibile. In primis sugli argini, trascurati da anni, se non di più.

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mercoledì 23 novembre 2016

UN’ALTRA ESTATE

di Simonetta Bisicchia

Avevo atteso l’estate come si aspetta Natale da bambini.
L’estate e la sua luce, la meraviglia del sole, la voglia di andare via, di cambiare aria, di viaggiare.
E l’estate era arrivata, torrida e puntuale.
Da ogni finestra della città si affacciavano volti accaldati in attesa di una partenza per le spiagge e, la sera, le vie del centro erano un brulicare di corpi ringiovaniti dalla promessa di una vacanza. Di lì a poco le vie, le case, gli uffici, avrebbero cominciato a svuotarsi e le autostrade sarebbero diventate tappeti di automobili fin troppo veloci.
Stanca e annoiata com’ero dal freddo e dagli oneri invernali, non mi ero nemmeno resa conto che la vacanza che avevo tanto atteso vacillava sotto il peso di una serie di problemi organizzativi che alla fine risultarono troppi, e così, senza che avessi nemmeno il tempo di reagire, mi ritrovai senza un programma e senza prospettive.
Fanculo, mai che ci si possa fidare di qualcuno.
I compagni di viaggio vanno scelti con cura, ed ero cascata una volta di troppo in una rete di entusiasmi incapaci di dare una ragionevole conferma di loro stessi.
Ci ero cascata, ed ero sola. Un’altra volta.
Intanto il calore dei muri delle case saliva, non c’era ora del giorno in cui non si avesse il sole addosso, appiccicato alla pelle, da un sudore invadente.
C’era da scegliere. Si poteva restare a letto investiti dal getto d’aria del ventilatore, annegare in una vasca da bagno, o fingere di gradire l’aria condizionata di un centro commerciale, dove, d’estate, i gesti automatici e inespressivi delle cassiere risultano ancora più terrificanti che d’inverno.
D’inverno produrre, commerciare, vendere, comprare, lavorare ha un senso; all’unisono e, con un’esemplare senso di abnegazione al dovere, lo facciamo tutti, in maniera ordinata e costante, senza protestare e senza eccessivi moti di ribellione.
Ma, d’estate, il suono di un lettore di un codice a barre che fa comparire su un display il prezzo di un surgelato echeggia come un grido sinistro e isolato, nell’aria appesantita dal caldo.  D’estate la vita va in stand-by, è tutto sospeso fino a nuovo ordine, tutto interrotto. E nessuno dovrebbe lavorare, né pensare, né produrre, né avere memoria o ricordi.

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martedì 22 novembre 2016

La lettera con cui il nonno di Trump fu espulso dalla Germania

Ritrovata nell’archivio della città di Spira. Il documento, datato 27 febbraio 1905, sancisce la cacciata di Friedrich Trump da Kallstadt, nell’allora Regno di Baviera


Berlino
Se Donald Trump si appresta a diventare il 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America lo deve in parte anche a una lettera ingiallita dal tempo ritrovata nell’archivio della città tedesca di Spira. Il documento, datato 27 febbraio 1905, sancisce l’espulsione del nonno del President-elect, Friedrich Trump, da Kallstadt, nell’allora Regno di Baviera. “Al cittadino americano e pensionato Friedrich Trump va comunicato che dovrà lasciare il territorio bavarese al più tardi entro il primo maggio di quest’anno, altrimenti dovrà aspettarsi la sua espulsione”, si legge nella missiva inviata dalle autorità del distretto di Dürkheim all’ufficio dell’allora sindaco di Kallstadt. La lettera, che è stata rinvenuta dallo storico Roland Paul e viene pubblicata oggi dalla Bild, metteva la parola fine a una vicenda alquanto complicata.

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venerdì 18 novembre 2016

Il bambino sta per morire in sala operatoria, quando arriva il medico il padre lo aggredisce. Ma alla fine…

Quante volte ci troviamo a giudicare delle persone senza sapere esattamente cosa stia accadendo nelle loro vite o quali problemi stiano attraversando? Molto spesso è difficile provare empatia verso gli altri. Lo dimostra bene la storia di cui vi parleremo oggi:

Un medico arriva in ospedale perché chiamato d’urgenza al reparto di chirurgia, il caso è disperato: un bambino ha avuto un gravissimo incidente. Il medico si infila subito il camice, ma prima di entrare in sala operatoria incontra il padre del bambino che gli grida contro: “Perché è venuto così tardi? Perché ha perso tutto questo tempo? Non sa che la vita di mio figlio è in pericolo? Lei non ha il senso di responsabilità!”.

Il medico sorride e con molta calma risponde: “Mi dispiace, non ero in ospedale ero da tutt’altra parte, ma sono arrivato il prima possibile. E ora si calmi e mi lasci fare il mio lavoro!”.


Ma il padre del bambino continua ad incalzarlo: “Calmarmi? Come si sentirebbe se suo figlio si trovasse lì? Lei starebbe tranquillo?”. Il dottore sorride ancora e risponde: “Le voglio dire quello che disse Giobbe nella Bibbia: ‘Dalla polvere siamo venuti e in polvere torneremo, sia benedetto il nome di Dio’. Noi medici non facciamo miracoli, ma stia tranquillo, faremo di tutto per suo figlio “.

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venerdì 11 novembre 2016

Happens to the Heart, una poesia in regalo da Leonard Cohen

Da qualche giorno circola in rete ‘Happens to the Heart’, una poesia che Leonard Cohen ha datato 24 giugno 2016  e pubblicato in anteprima il 25 agosto su LeonardCohenFiles da Jarrko Arjatsalo.
Il testo è complesso e molto ben strutturato. Si tratta di otto strofe da otto versi ciascuna (tutte terminanti in ‘What happens to the heart’) più una ripresa di quattro versi finale. A una prima lettura, sembrerebbe una specie di ‘riepilogo’ della vita sentimentale di Cohen, senza però riferimenti esatti a fatti e persone – una circostanza questa certo inconsueta per il poeta, da sempre avvezzo ad aprirsi senza alcun velo ai suoi lettori.
Man mano che ci addentreremo nella lettura, anche grazie alla crescente comunità di LeonardCohen.it, vi proporremo un’interpretazione – ammesso che ce ne sia una!
Se nel frattempo volete aiutarci anche voi, lasciate un commento con le vostre idee e noi ne terremo conto!
Buona lettura!

HAPPENS TO THE HEART
I was always working steady
But I never called it art
I was funding my depression 
Meeting Jesus reading Marx
Sure it failed my little fire
But it’s bright the dying spark
Go tell the young messiah
What happens to the heart 

There’s a mist of summer kisses
Where I tried to double-park
The rivalry was vicious
And the women were in charge
It was nothing, it was business
But it left an ugly mark
So I’ve come here to revisit
What happens to the Heart
I was selling holy trinkets
I was dressing kind of sharp
Had a pussy in the kitchen
And a panther in the yard
In the prison of the gifted
I was friendly with the guard
So I never had to witness
What happens to the Heart
I should have seen it coming
You could say I wrote the chart
Just to look at her was trouble
It was trouble from the start
Sure we played a stunning couple
But I never liked the part
It ain’t pretty, it ain’t subtle
What happens to the Heart
Now the angel’s got a fiddle
And the devil’s got a harp
Every soul is like a minnow
Every mind is like a shark
I’ve opened every window
But the house, the house is dark
You give in and then it’s simple
What happens to the heart
I was always working steady
But I never called it art
The slaves were there already
The singers chained and charred
Now the arc of justice bending
And the injured soon to march
I got this job defending
What happens to the Heart
I studied with this beggar
He was filthy he was scarred
By the claws of many women
He had failed to disregard
No fable here no lesson
No singing meadow lark
Just a filthy beggar blessing
What happens to the heart
I was always working steady
But I never called it art
I could lift, but nothing heavy
Almost lost my union card
I was handy with a rifle
My father’s 303
We fought for something final
Not the right to disagree
Sure it failed my little fire
But it’s bright the dying spark
Go tell the young messiah
What happens to the heart

June 24, 2016

Fonte

"Lunedì 7 novembre Leonard Cohen è morto.
Per volere della famiglia, la notizia non è stata resa pubblica fino a dopo la celebrazione di un memoriale nella sinagoga della sua congregazione di origine, la Shaar Hashomayim di Montreal, tenutasi giovedì 10 novembre."

lunedì 7 novembre 2016

Leo Gullotta racconta l’Alzheimer in 'Lettere a mia figlia'

Il film breve, in concorso ai David di Donatello 2017, vede l’attore siciliano nei panni di un anziano padre che scrive delle lettere alla figlia nel tentativo di spiegare la sua malattia

"Un corto che serve a far entrare chi guarda in questa piccola storia di una malattia terribile, l'Alzheimer": così Leo Gullotta, 70 anni, racconta il film breve 'Lettere a mia figlia', in concorso ai David di Donatello 2017, di cui è straordinario protagonista.

Girato in Campania tra Napoli e provincia e prodotto da Pulcinella Film in collaborazione con Paradise Pictures, vede la regia di Giuseppe Alessio Nuzzo, che in primavera sarà al cinema con il suo primo lungometraggio 'Le verità' con Francesco Montanari, Nicoletta Romanoff e la partecipazione di Maria Grazia Cucinotta.
"La storia che si racconta è quella di un uomo che ha vissuto la sua vita gioiosa in famiglia con la moglie e la bambina che diventerà presto donna – racconta Gullotta – In questo percorso lo aggredisce la malattia che porterà lui e la sua famiglia ad attraversare un dolore quasi 'cosciente'".

GUARDA LE FOTO DEL BACKSTAGE

La pellicola, presentata da Gullotta al Premio Penisola Sorrentina 2016 e in selezione ufficiale al Punti di vista Film Festival di Cagliari, verrà premiata venerdì 25 novembre al Palazzo Arti di Napoli dopo una proiezione speciale al CortiSonanti Film Festival come miglior cortometraggio sociale e miglior interpretazione per l’attore siciliano.

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sabato 5 novembre 2016

Il passato che ritorna di Sepúlveda: un intrigo internazionale in Cile

La fine della storia (Guanda) è l’ultimo romanzo dello scrittore cileno Luis Sepúlveda: una ballata che ha il colore del noir e il sapore della tragedia. Protagonista è un ex guerrigliero che negli anni ’70 ha combattuto tutte le rivoluzioni del Sud America e che ora deve fare i conti con il passato. In classifica, Harry Potter non si muove dalla prima posizione. Alle sue spalle tante novità: L’ estate fredda (Einaudi) di Gianrico Carofiglio, Padrini e padroni (Mondadori), il nuovo saggio di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, che spiega come la ’n'drangheta è diventata classe dirigente, La dieta della longevità (Vallardi A.) di Valter Longo e Le donne erediteranno la terra (Mondadori) di Aldo Cazzullo

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Leggi il primo capitolo di “La fine della storia” di Luis Sepùlveda

Il ritorno di Luis Sepùlveda con il nuovo romanzo “La fine della storia”

 

 

 

 

lunedì 31 ottobre 2016

Il dramma non è solo in una parte geografica dell'Italia.

...E poi ti prende così, quel magone e la tristezza di quanti hanno perso la propria casa, le cose, i progetti, la storia, le memorie....
Quelle crepe aperte, quegli squarci, non sono solo rughe di vecchiaia ma incuria e non solo del tempo.
Ti viene alla mente che ancora tanti cittadini colpiti dai sismi negli anni precedenti attendono che si restituisca la loro dignità.

E’ l’anima.

Pensi alla tua Italia rugosa, alla tua terra, ti guardi intorno e speri.

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Terremoti in tempo reale in Italia e nel mondo

mercoledì 26 ottobre 2016

Non sono razzista ma... forse sì.

Sta passando il principio che se non hai 4 extracomunitari in casa e 8 famiglie africane nel condominio, non puoi dire razzista a qualcuno.

Abbiamo costruito un mondo pieno di contraddizioni. Escludendo dal "benessere" gran parte dei suoi abitanti. Ora stiamo solo pagando il conto.

Perché noi non siamo razzisti per un problema di colore o di religione. Noi siamo razzisti per un problema di soldi. Noi non vogliamo il povero.

Perché anche se lo sceicco arabo ha 18 mogli e nel suo stato c'è la pena di morte per i gay o per le donne fedifraghe, l'importante è che venga qui a spendere i soldi.
Se fosse andato uno sceicco a Gorino lo avrebbero accolto con il tappeto rosso e 10 vergini.

La verità è che abbiamo le case piene di gattini che dormono pure nelle padelle dove mangiamo, che ci facciamo leccare in bocca dai cani, ma non sopportiamo l'odore di cipolla del vicino magrebino.

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martedì 25 ottobre 2016

L’attrice che insegna ai genitori a raccontare le favole ai bambini

Ad Alessandria, un’appassionata organizza corsi: “Contano il tono della voce, le pause e la creatività”


ALESSANDRIA
Tapparelle giù, luce soffusa, bambini ben avvolti nel piumone e una sedia, accanto al letto. Molti genitori si preparano così quando devono raccontare la favola della buonanotte ai figli. Ci sono poi gli estrosi, che utilizzano qualche travestimento (bastano una coperta e un cappellino, a volte), ci sono i buffi, che fanno parlare i pupazzetti. E ci sono quelli che si sentono già un po’ attori, che cambiano voce e tono quando serve, che interpretano, animano la storia. Ecco, a questi ultimi Ombretta Zaglio ha meno da insegnare; lei, che è attrice da trent’anni, è una grande appassionata di fiabe, oltre a essere una studiosa dell’argomento: si è laureata in Lettere con una tesi sulla fiaba tradizionale, le racconta da sempre (anche nella sua casa-teatro) e recupera quelle più antiche.

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domenica 23 ottobre 2016

L'abisso invoca l'abisso

Prologo

       Urbino, autunno 1812

      Una nebbia impenetrabile rendeva difficile la vista dell’antico convento situato sul Colle dei Cappuccini, il luogo dove erano diretti gli agenti Angelo Zucchi e Giuseppe Santi, incaricati dal governo francese di far luce su un inventario scomparso, un elenco di oggetti preziosi appartenuti alla potente famiglia Albani. Si diceva fossero stati occultati e per motivi oscuri sfuggiti alle requisizioni che l’inflessibile ispettore Dorel stava conducendo per conto della Commissione “pour la recherche des objects des Sciences et Artes en Italie” istituita da Napoleone. In seguito alla soppressione degli ordini religiosi, i francesi andavano depredando in modo sistematico e meticoloso, chiese e monumenti della Legazione di Urbino.
       L’unico che avrebbe saputo riferire qualcosa di concreto su quel cospicuo patrimonio inspiegabilmente scomparso era l’archivista del Legato Crescentino Fiorini, il quale si trovava in degenza nel ricovero riservato ai malati di mente, annesso all’antico convento.
       _ E’ nella sua stanza_, rispose una energica e corpulenta infermiera alla richiesta dei commissari di poter interrogare il paziente.
       Nell’attesa, si sedettero su una panca nell’atrio, uno stanzone squallido e maleodorante.
       _Venga Crescentino, fate il bravo. Ci sono due signori venuti apposta per farvi visita.
      Fiorini respirava affannato e si muoveva lentamente. Il volto era scarno, e dal cranio uscivano disordinati ciuffi di capelli grigi. Le labbra sottili erano serrate in una smorfia disgustata e gli occhietti cerulei, sembravano liquidi.
       _ Siamo qui per conto del governo francese.
      Con brutalità, l’agente Santi arrivò subito al dunque.
    _ Cittadino Fiorini, vorremmo informazioni sul presunto tesoro degli Albani. Voi siete rimasta l’unica persona a sapere dove sia stato occultato.
      L’interrogato li fissava, muto.
     _ Se parlerete vi faremo uscire da questo posto e verrà affidato a cure migliori. E poi, volete davvero lasciare che quella fortuna vada in malora? _, continuò il commissario sempre più spazientito. Fiorini cominciò ad agitarsi e ad emettere strani versi gutturali.
      _ Signori, è inutile che alziate la voce. Lo vedete voi stessi: quest'uomo non è più in sé!
      L'infermiera fece per ricondurlo nel suo ricovero.
    Gli agenti si scambiarono un’occhiata di delusione. Questa volta l’ispettore Dorel si sarebbe dovuto rassegnare e rinunciare al  suo obiettivo.
    Lasciato solo nella sua stanza, Crescentino, dalla grata della finestra osservava l’aureola pallida e luminescente della luna. Ripercorse un episodio della sua vita accaduto nel gennaio del 1798, forse l’unico della sua esistenza che ricordava ancora con tanta nitidezza.
       Era una notte nebbiosa come quella, quando qualcuno bussò forte alla porta, svegliandolo di soprassalto. Come di consueto si era coricato subito dopo il tramonto. Aveva passato tutta la giornata nell’archivio dell’arcivescovado, dove leggeva, studiava, trascriveva con perizia antichi documenti manoscritti che riguardavano la storia del Ducato di Urbino. Continuava con caparbietà a chiamarlo così, nonostante la devoluzione allo Stato Pontificio fosse avvenuta da quasi due secoli.
In virtù di queste cognizioni e perché ritenuto una persona irreprensibile e precisa, fu invitato a far parte del Comitato economico ecclesiastico con l'incarico di redigere l’inventario dei beni mobili ed immobili di palazzi, chiese e conventi.
     Si affacciò alla finestra che dava sul vicolo. Si palesò un inserviente.
      _ Sua eminenza monsignor Arrigoni, vi ha convocato d’urgenza!
      Diretto verso l’Arcivescovado sentiva l’umidità penetrare fino alle ossa. Sulle strade di acciottolato si erano formati strati di ghiaccio che rendevano difficoltoso il tragitto. Lo accolse un pretino. In tutta fretta lo condusse fino allo studio dove il Legato lo stava già aspettando.
     _ Sedete, vi prego! _, intimò con tono deciso. _ Vogliate scusarmi se vi ho fatto alzare a quest’ora della notte, ma non c’è tempo da perdere. Dai nostri informatori abbiamo ricevuto l’agghiacciante notizia che il Comandante Treboutte si sta dirigendo verso Urbino seguito dalla sua orrida truppa, con l’intenzione di violare Palazzo Albani, quello che in passato fu la residenza del nostro amatissimo papa Clemente XI. Il suo proposito è quello di confiscare i beni preziosi appartenenti alla nobile casata. Come sapete, avendo voi stesso stilato l’inventario, sono compresi libri rari, quadri di grande valore artistico, arredi sacri, documenti riservati, pezzi di storia del glorioso Ducato, su cui quei senza-dio dei bonapartisti non possono e non devono mettere le loro sporche grinfie! Ho già predisposto di ricavare un ripostiglio nel cunicolo sotterraneo che da Palazzo Albani conduce al convento dei Francescani. Il vostro compito sarà quello di nascondervi gli oggetti e murare il vano, dopo aver bruciato i fogli dell’inventario, l’unica prova della loro esistenza. Ma vi prego, fate in fretta!
     Crescentino, già ripercorreva mentalmente tutti gli oggetti.
    _ Anche quel dipinto?
     _ Sicuro! E’ un ritratto maledetto. Che se ne perda la memoria per sempre!

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mercoledì 19 ottobre 2016

C'era una volta un re...

C’era una volta un re molto buono e saggio, nella sua lunga vita aveva costruito un regno solido, giusto e combattuto anche dure battaglie. Giunto ormai in vecchiaia senti avvicinarsi l’ora della propria morte, era sempre più debole e stanco, così una notte chiamò al suo capezzale il figlio beneamato, che sarebbe dovuto succedergli nel portare il faticoso fardello della corona.
Con le ultime forze rimaste, alla luce delle candele, gli parlò:

“Caro figlio, il mio tempo è ormai trascorso, ora tocca a te continuare ciò che io incominciai. A sigillo di quanto ti dico ti dono questo mio anello, è un anello magico e molto prezioso, al suo interno vi è un’iscrizione, io l’ho letta sempre nei momenti difficili della mia vita, ma anche nei momenti belli, dove la vita mi sorrideva meravigliosamente e mi ha sempre aiutato. Tienilo, mio caro, è il dono più importante che ti faccio”.

 
Queste furono le sue ultime parole, si spense serenamente il mattino come le candele che avevano rischiarato la sua ultima notte.

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domenica 2 ottobre 2016

La storia dell'uomo che salvò il mondo dall'olocausto nucleare


Tante le grandi figure che con i loro nomi riempiono i libri di storia. Nomi che sentiamo nominare almeno una volta al giorno, data la loro caratura e il loro impegno nei confronti del mondo. Ma molto spesso ci sono uomini e donne, altrettanto importanti, se non di più, le cui vite e azioni passano in sordina, e su cui i riflettori della storia non si sono mai posati. Eppure, le loro scelte hanno cambiato il corso della storia, se non addirittura le nostre vite. Grazie ad alcuni di loro siamo ancora qui a parlare di storia. Uno di questi è Vasili Alexandrovich Arkhipov, il sommergibilista russo che durante la guerra fredda evitò un olocausto nucleare. E salvò il mondo.

Ottobre 1962, siamo in piena crisi missilistica cubana. Un sottomarino sovietico viene intercettato dalla marina statunitense nelle acque caraibiche. Scatta l'allarme: il traffico marittimo vicino Cuba era stato bloccato su ordine del presidente Kennedy, preoccupato dell'avvicinamento tra Fidel Castro e il Cremlino e di un eventuale lancio di missili sul territorio nordamericano. Sull'isola, infatti, erano state costruite rampe di lancio e silos interrati: in cambio i russi avrebbero consegnato ai cubani missili nucleari. Una ragione in più per non far avanzare neanche di un metro quel sottomarino.

Il sottomarino rimane fermo, nascosto in profondità. Gli americani decidono di lanciare cariche esplosive. Non sono pericolose, sono cariche usate durante le esercitazioni. Vogliono costringere il mezzo a risalire in superficie. All'interno del sottomarino regna il caos. Le esplosioni ravvicinate fanno tremare tutto, il personale a bordo sballottato da una parte all'altra. Ma ciò che gli americani non sanno è che i russi hanno armi nucleari e, visto che erano giorni che si era perso il contatto radio con Mosca, il comando sovietico aveva precedentemente dato al capitano la facoltà di usarle in caso di pericolo. Era una sua decisione.

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lunedì 26 settembre 2016

Una madre porta la figlia autistica al ristorante… Il Proprietario gli dedica una lettera…

Tony Posnanski lavora nel suo ristorante da ben 15 anni. Pensava di aver visto ormai tutto e di aver acquisito tutta l’esperienza necessaria per servire ogni tipo di cliente, ma un giorno gli capitò qualcosa di inaspettato, un fatto che gli servì da lezione per comprendere che “Fare la cosa giusta non sempre rende felici gli altri, ma solo le persone che ne hanno realmente bisogno”.
Sembrava una giornata di lavoro come molte altre, ma tra i clienti vi era anche una mamma con una piccola bambina che urlava. I clienti erano infastiditi e continuavano a lamentarsi. Come direttore del ristorante a Tony non rimaneva che cercare di render loro il miglior servizio, così si recò al tavolo 9 dove vi erano sedute la mamma e la bambina, e prima di iniziare a parlare la donna gli face una ‘semplicissima’ domanda “Sai cosa si prova ad avere un bambino autistico?”.


Proprio in quel momento in Tony scatto qualcosa, un qualcosa che riporta in questa lettera estremamente commovente.

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domenica 18 settembre 2016

La forza delle donne: sette storie di coraggio che hanno conquistato il mondo

È innegabile il lungo, duro e faticoso cammino che le donne hanno dovuto percorrere per riscattarsi, per poter sedere, con pari diritto e dignità, allo stesso tavolo degli uomini. Ecco alcune protagoniste di questa battaglia, raccontate da Rita Saviotti, autrice di Femmine



1) Una donna di Sibilla Aleramo
Le tappe dolorose di chi cerca di affermare il proprio essere individuo autonomo rispetto alla società dell’epoca che la vuole totalmente succube, remissiva, ubbidiente. Ci si aspetta da lei che riconosca l’autorità, che accetti supinamente le regole del gioco, che non le sovverta. E sono soprattutto le altre donne che la vogliono così, perché così è stato per loro e per forza dev’essere anche per lei. Alla protagonista costerà un prezzo molto alto ribellarsi eppure avrà la forza di compiere i passi del suo cammino.

2) La specialista del cuore di Claire Holden Rothman
Una situazione simile la ritroviamo in questo romanzo, con la differenza che la protagonista ha fin da subito le idee chiare su quello che sarà il suo futuro: vuole fare il medico in un’epoca in cui studiare e svolgere certe professioni era prerogativa maschile. Inizia a combattere fino a raggiungere il traguardo che vuole per sé, ma soprattutto per tutte le altre che verranno dopo di lei. La sua vita è dura fin dall’infanzia e la costringe a farsi carico non solo di se stessa, ma anche della sorella e del mistero legato alla figura del padre scomparso che sembra travolgerla e contaminarla. Si crea nuovi riferimenti che scopre poi falsi ed ingannevoli, come il padre ritrovato. Ma Agnès, come una fenice, rinasce dalle proprie ceneri ed anche se durante il percorso sembra dimenticare la propria femminilità per favorire il suo essere medico, specialista, scienziata, alla fine la sua essenza, il suo profumo, emergeranno e le permetteranno di riconoscere ed accettare anche l’amore.

3) La lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini
Una bimba esposta alla violenza, una violenza subita in prima persona e vista su altri. Una violenza di cui non potrà mai parlare. Nessuno sentirà più la sua voce perché in una società in cui non ci si può raccontare, in cui le tragedie vengono lavate nelle cantine buie di un mondo che rinforza la propria barbarie nonostante le trine ed i merletti di cui si veste, beh, allora è segno che non c’è più nulla da dire. E Marianna diverrà la mutola. Per scelta obbligata. Si respira l’aria rovente, soffocante, di una Sicilia antica, dove il sudore si mescola alla polvere, si impasta in una realtà che ha come ingredienti principali il silenzio, il mistero, la superstizione, la violenza e la morte. Marianna dovrà combattere contro tutto questo ed a modo suo costruire un mondo in cui sia possibile continuare a vivere.

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domenica 11 settembre 2016

“Se l’è andata a cercare”. Il paese volta le spalle alla ragazzina violentata

Calabria, in poche centinaia alla fiaccolata per la 16enne stuprata da tre anni Il padre: “Me lo aspettavo, se potessi prenderei mia figlia e la porterei lontano”

A Melito, in Calabria, è stata organizzata una fiaccolata in piazza davanti alla stazione Soltanto
quattrocento le persone presenti su 14 mila residenti, molte arrivate da altri paesi.


inviato a Melito di Porto Salvo 
 
La bambina. «Un metro e 55 per 40 chili», c’è scritto nelle carte dell’inchiesta. È della bambina che stanno parlando. «Se l’è cercata!». «Ci dispiace per la famiglia, ma non doveva mettersi in quella situazione». «Sapevamo che era una ragazza un po’ movimentata». Movimentata? «Una che non sa stare al posto suo». Arriva in piazza il parroco Benvenuto Malara, va davanti alle telecamere: «Purtroppo corre voce che questo non sia un caso isolato. C’è molta prostituzione in paese».

Hanno violentato la bambina per tre anni di seguito. La prostituzione non c’entra niente. L’hanno violentata in nove, a turno e insieme. Tenendola ferma per i polsi, e poi obbligandola a rifare il letto. «C’era la coperta rosa», ha ricordato la bambina nelle audizioni con la psicologa. «E non avevo più stima in me stessa. Certe volte li lasciavo fare. Se mi opponevo, dicevano che non ero capace. Mi veniva da piangere. Mi sentivo una merda». Andavano a prenderla all’uscita della scuola media Corrado Alvaro, con la lettera V dell’insegna crollata. È sulla via principale, proprio di fronte alla caserma dei carabinieri. Caricavano la bambina in auto e andavano al cimitero vecchio, oppure al belvedere o sotto il ponte della fiumara. Più spesso in una casa sulla montagna a Pentidattilo, dove c’era il letto.

Quando questa tragedia italiana è incominciata, la bambina aveva 13 anni. Ora ne ha compiuti sedici. Una settimana fa, annunciando l’arresto degli stupratori, il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero De Raho, ha detto: «Questo territorio sconta un ritardo costante. C’è una mancanza di sensibilità. Anche i genitori sono stati omertosi. Tutti sapevano».

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sabato 10 settembre 2016

Mogol: "Mi ritorna in mente il giorno in cui conobbi il mio amico Battisti"

Il 15 settembre l'autore di tanti successi pubblica la sua autobiografia. Aneddoti e ricordi del mago della canzone italiana


TOSCOLANO (Terni) - C'è un momento indietro nel tempo, nel lontano 1965, che racchiude in sé il seme di un universo pronto a germogliare per cambiare la canzone italiana. È il primo incontro tra il giovane Giulio Rapetti - già affermato autore di Una lacrima sul viso - e un ragazzone riccio di Poggio Bustone. A raccontarci come andò, al Centro Europeo di Toscolano, è Mogol in persona che il 15 settembre pubblicherà Il mio mestiere è vivere la vita (Rizzoli, pp. 208, euro 29,90).
 
Quel ragazzo si chiamava Lucio...
"Mi fece sentire due canzoni. "Non sono granché" dissi. "Ha ragione" mi rispose. Gli dissi di ripassare più avanti, che avremmo provato a scrivere qualcosa".
 
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venerdì 9 settembre 2016

Nel cottage blindato dove Hamer “cura” il cancro con le vitamine

L’ex medico si è rifugiato a Sandefjord (Oslo) per sfuggire alla cattura. Un vicino: “Ogni giorno è un viavai di malati, fa leva sulla disperazione”



inviato a Sandefjord (Norvegia) 
Anche sulla cassetta della posta c’è scritta una menzogna. «Dottor medico Ryke Geerd Hamer. Rettore Università di Sandefjord. Nuova medicina germanica». Ma il signor Hamer non è un dottore. Non lo è più dal 1986, quando è stato radiato dall’ordine dei medici tedeschi per truffa. E non lo è nemmeno qui in Norvegia, dove si è rifugiato per scappare ad un mandato d’arresto per istigazione all’odio fra i popoli.

Questa non è neppure un’università, a ben guardare. È un’abitazione privata. Un cottage sulla collina davanti a un piccolo fiordo, 120 chilometri a sud di Oslo. Strada Sandkollveien 11: due vecchie Mercedes posteggiate in giardino sul lato destro, un camper sulla sinistra, un grosso cane libero che abbaia a chiunque passi nei paraggi.

LEGGI ANCHE I genitori rifiutano la chemio. Muore a 18 anni di leucemia

Avevamo chiamato per sapere se l’ex dottore ricevesse ancora dei pazienti a casa. Ci aveva risposto la signora Bona Garcia, moglie in seconde nozze di Ryke Hamer: «Per un mese il dottore è in vacanza. Sarà disponibile ai primi di ottobre. Per qualsiasi problema urgente potete scrivere alla casella di posta amicidiryke@…». Il problema urgente è che tutti quelli che credono alle teorie non scientifiche del falso medico Ryke Geerd Hamer continuano a morire. Anche se con la medicina tradizionale, facendo ricorso alla chemioterapia, magari avrebbero avuto buone probabilità di guarigione. Come negli ultimi due casi in Italia, la settimana scorsa. Una mamma di Rimini. Ed Eleonora Bottaro di Padova, 18 anni compiuti da un mese. D’accordo con i suoi genitori, seguaci del metodo Hamer, è morta cercando di curare la leucemia con la vitamina C.

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L’ex braccio destro di Hamer: “Le cure non vanno bandite” 

 

 

 

venerdì 2 settembre 2016

"Sfida accettata", Deborah, malata di cancro, pubblica una sua foto a colori e "rivede" la campagna di sensibilizzazione


"Il Cancro non sono sfumature di grigio. Il grigio è sterile, arido, morto. Il Cancro ha tanti colori. Anche il colore della paura, ma ce l'ha! Perché il Cancro spiazza, fa paura, terrorizza. Sensibilizzare le persone alla lotta contro il Cancro, è farle pensare a cosa sia davvero". Sono le parole di Deborah, 41 anni, mamma e moglie che ha deciso di raccontare la sua lotta contro il cancro al colon di cui è affetta su una pagina Facebook, con il nickname di Magica Debby. Ha deciso di pubblicare una foto a colori che la ritrae distesa su un letto. Il pallore del suo viso è in contrasto con i colori del foulard che ha avvolto sulla testa e l'azzurro dei suoi occhi. In un lungo post ha spiegato il perché: "'Sfida accettata' è la frase che in questi giorni si trova ovunque sul social, insieme a foto in bianco e nero per una campagna di 'sensibilizzazione' alla lotta contro il Cancro. Personalmente non capisco il senso di una foto in bianco e nero - scriva Deborah - e meno ancora capisco foto che ritraggono reggiseni e pance piatte ma rispetto le motivazioni di ognuno. Non voglio fare polemiche ma solo esprimere un pensiero, specie se mi vengono inviate richieste di 'partecipazione'. Il Cancro non sono sfumature di grigio. Il grigio è sterile, arido, morto. Il Cancro ha tanti colori. Anche il colore della paura, ma ce l'ha! Perché il Cancro spiazza, fa paura, terrorizza".

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lunedì 29 agosto 2016

Dettato

Per chi non capisce la mia calligrafia (come lo capisco) qui sotto la versione stampata del Buongiorno
Un dettato al giorno guarisce l’analfabeta di ritorno. Deve averlo pensato il governo francese, che ha imposto il dettato quotidiano nei nuovi programmi scolastici. Il mio primo dettato fu scandito dalla voce nitida della maestra: «E’ autunno e cadono le foglie». Tradussi creativamente: «E autumno è cabono gle folie». Sei errori in sei parole. Da allora sono migliorato, ma neanche troppo. Quel poco è merito del dettato, che mi ha costretto ad ascoltare le parole degli altri e a metterle su carta, dando loro quel peso che a voce e sullo smartphone faticano ad avere. Nemmeno il dettato, però, è riuscito a insegnarmi l’arte della bella scrittura (calli-grafia, in greco ante Tsipras) che era l’orgoglio di mia nonna contadina. Temo di non avere preso da lei, ma dalle sue galline. 

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sabato 27 agosto 2016

Lettera pompiere su bara Giulia, 'scusa'

(ANSA) - ASCOLI PICENO, 27 AGO - "Ciao piccola, ho solo dato una mano a tirarti fuori da quella prigione di macerie. Scusa se siamo arrivati tardi, purtroppo avevi già smesso di respirare, ma voglio che tu sappia da lassù che abbiamo fatto tutto il possibile per tirarvi fuori da lì": inizia così la commovente lettera scritta da uno dei soccorritori, probabilmente un vigile del fuoco, che si è firmato "Andrea" con un cuoricino accanto, e lasciata sulla bara di Giulia, la bambina di 11 anni morta sotto le macerie a Pescara del Tronto. La sorella di Giulia, Giorgia, di 4 anni, è stata invece estratta vive 16 ore dopo il sisma e sembra che sia stata protetta nel crollo proprio dal corpo di Giulia. "Quando tornerò a casa mia a L'Aquila saprò che c'è un angelo che mi guarda dal cielo e di notte sarai una stella luminosa. Ciao Giulia, anche se non mi hai conosciuto ti voglio bene" conclude la lettera.

Fonte

mercoledì 24 agosto 2016

La terra trema

Una notte d’ estate come tutte le altre. Metti a dormire la bambina, ti accasci sul letto ed inizi a sognare. Io stavo sognando che ero a casa di mia sorella che abita in un appartamento al secondo piano di una palazzina, al contrario di me che sto al piano terra, e la mia paura in quel sogno era quale fosse la strada più veloce per scappare nel caso di un terremoto. Pochi secondi dopo, alle 3.36, vengo svegliata dal letto che si muove. Oddio penso, il terremoto. Aspetto seduta sul letto, passerà penso, è una di quelle scosse piccole e brevi. Invece continua, da un colpo secco più grande, mi alzo e corro verso la porta di casa e ancora non smette. Mio marito va a controllare che Gioia non abbia sentito nulla. Lei dorme fortunatamente. Vado su Facebook e capisco subito che troppa gente lo ha sentito a km di distanza da qui, quindi l’epicentro non è da queste parti. Negli ultimi anni ci sono state diverse scosse con l’epicentro a pochi km da casa e avevo subito capito che fosse distante. Di solito prima arriva il boato e poi inizia il tremolio, questa volta non c’è stato. Poco dopo arriva la terribile notizia. Epicentro Rieti magnitudo 6.


Interi paesi rasi al suolo, morti, feriti, persone che in pochi secondi hanno perso tutto. Un’ora dopo provo a tornare a letto. Altra scossa 5.5. Penso ancora a quella povera gente. Stamattina al tg sono arrivate le immagini della tragedia. Serve sangue, servono aiuti. Questi i numeri utili della protezione civile.


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venerdì 12 agosto 2016

Osteria di Chichibio: i vip non pagano e protestano su TripAdvisor


Pagare il conto al ristorante? Quale volgarità! Andarci durante il regolare orario di apertura? Roba da parvenu!

Almeno per Vittorio Sgarbi e il suo entourage che, si sa, come tutti i vip detesta mescolarsi alla dozzinale plebaglia e coltiva l’elitario vezzo di andare per locali, che siano musei o posti dove gozzovigliare, in orari e con modalità inaccessibili ai comuni mortali.

Non è un mistero infatti l’abitudine di Sgarbi di frequentare musei e chiese antiche in orari notturni, facendoseli aprire appositamente dall’assonnato custode per bearsi in solitaria delle meravigliose opere d’arte.

Ma questa volta, il critico d’arte non si è andato a nutrire dell’aura di quadri incantevoli e sculture raffinate ma più prosaicamente di verace, gagliardo, terrenissimo cibo.

Peccato che abbia preteso di farlo ben oltre l’orario di chiusura, a notte inoltrata, e non da solo o in compagnia di un paio di amici –come pare avesse comunicato al titolare preventivamente– ma con una comitiva di circa una quindicina di persone, modello gita fantozziana.

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mercoledì 27 luglio 2016

"Il pacco è servito"

CARO TESTA A PINOLO, IO IN VACANZA CI VADO
Caro testa a pinolo...
No, non ho niente contro i pinoli e neanche contro le "teste a pinolo", ché un po' anche la mia ci somiglia. Ma avrei potuto iniziare questa lettera diversamente, ad esempio chiamandoti "testa di cazzo". E allora ecco, credo che "testa a pinolo" possa essere un giusto compromesso tra il mantenere superiorità intellettuale mostrando rispetto e educazione, e lo sfotterti un po' richiamando ugualmente "alla testa di cazzo" che hai dimostrato di essere.

Sì, caro il mio testa a pinolo. Ho saputo che sei stato in vacanza e che qualcosa è andato storto. Un gruppo di disturbatori ha infranto il tuo progetto di relax in mezzo al verde. Che magari te lo eri pregustato per tutto l'anno chiuso all'aria condizionata del tuo ufficio, in piena città, otto ore per cinque giorni tra noia e frustrazione.
Caro il mio testa a pinolo, nessuno poteva prevedere che in mezzo a cotanto grigiore non avresti resistito allo sbalzo della bellezza che irrompe, magica, nella vita di qualcuno.

Lo sbalzo emotivo è stato insostenibile perché, si sa, un disabile è una persona triste per natura, e quando qualcosa si rivela come non pensavamo che fosse ci destabilizza. Quando qualcosa sconfina dall’etichetta sociale che siamo soliti dargli, un po’ per rassicurare noi stessi e un po’ per sentirci migliori, si perde la bussola.
Per quelli infatti, i disabili che soffrono tanto (per definizione, appunto), ci sono gli ospedali, le case di cura e di riposo. Che se si chiamano “di cura” è normale che soffrano e se si chiamano “di riposo” va da sé che non è certo naturale per loro ballare, o cantare, o fare escursioni all’aria aperta come fanno tutti gli altri. Magari ridono anche, t’immagini?
Ecco. E allora? Cosa diamine si è inceppato nel magico cerchio della vita ai tuoi occhi miopi?

Caro il mio testa a pinolo… Mi trovo qui a scriverti due righe perché non so se un giorno anche io avrò dei figli come te. In realtà non so neanche se avrò un lavoro che mi permetterà di sognare una vacanza, ma andiamo per gradi: di certo una cosa l’ho ben chiara in testa, ed è la responsabilità genitoriale.
Se mai un giorno avrò dei figli vorrò insegnare loro che la vera disabilità è negli occhi di chi guarda, di chi non comprende che dalle diversità possiamo solo imparare. Disabile è chi non è in grado di provare empatia mettendosi nei panni degli altri, di mescolarsi affamato con altre esistenze, di adottare punti di vista inediti per pura e semplice curiosità.

Citando una tua frase. “I disabili sono persone che purtroppo la vita gli ha reso grandi sofferenze ma vi posso assicurare che per i miei figli non è un bello spettacolo vedere dalla mattina alla sera persone che soffrono su una carrozzina.”.
Ecco, caro il mio testa a pinolo. Se un giorno avrò dei figli saranno sicuramente più fortunati dei tuoi che, poveracci, di colpe non ne hanno. Più fortunati perché scopriranno che la mia carrozzina non è né più né meno di un paio di scarpe nuove con le quali iniziare viaggi, avventure, sogni, destini, speranze.
Se un giorno avrò dei figli sapranno che il dolore, quello vero, è nascosto nell’indifferenza e non nella malattia. Che i brutti spettacoli del mondo ce li ha sempre “regalati” la cattiveria umana e mai la dignità. Che il mondo è popolato da persone diverse ma con gli stessi diritti. Che non esiste libertà abbastanza grande di quella che possiamo prenderci per essere felici.
Perché vivere significa questo: esser messi in condizioni di poter fare del nostro destino ciò che si vuole, senza mancare di rispetto (ah, che bella parola!) a chi ci sta intorno.

Quindi, caro il mio testa a pinolo… Non solo io in vacanza ci vado, quest’anno, come tutti gli altri anni. Ma ci andranno anche Marco, Matteo, Laura, Sara, Ilaria, Fabrizio, Ginevra, Alessandro… E tutti i ragazzi “speciali” di questo mondo, che di speciale non hanno niente se non la loro unicità: come me che ti ho scritto questo papiro di robe sconclusionate, forse, mosso da una frustrante sensazione di impotenza, e come te, caro testa a pinolo, che della vita non hai capito proprio niente.

Iacopo Melio

PS: “Bastava che la gente mi avvisava”… Il congiuntivo, perdiana! Almeno il congiuntivo…
— con Iacopo Melio

mercoledì 29 giugno 2016

WonderLaura DNF..e altre favole della buonanotte


A quanto pare il giorno in cui hanno distribuito la capacità di arrendersi io ero assente. Il che, detto così, potrebbe anche sembrare una bella cosa. E lo è, finché non arrendersi significa avere la giusta dose di testardaggine, la capacità di difendere ciò di cui si è convinti, la voglia di provarci ancora una volta. Dopo aver preso in considerazione i rischi e i vantaggi e aver deciso che questi ultimi sono un motivo sufficiente ad affrontare i primi.
Quando vado verso un obiettivo, invece, a me spesso il passaggio razionale manca totalmente. Semplicemente, l’opzione mollare il colpo non viene nemmeno contemplata. Si tratta di una questione di principio. Resistere, resistere, resistere.
Fino a ieri.
Credevo.
Mattinata calda dopo una settimana torrida, l’estate tanto attesa sembra essere arrivata comprimendo in queste prime giornate tutti i raggi di sole che aveva negato da inizio giugno. Mi metto in macchina alle sei, segna già 24 gradi. L’ideale per la gara più tosta della stagione.

La partenza è alle otto, partiamo carichi con il gruppo OltrepoTrail quasi al completo, ma li perdo ben presto di vista. I primi km sono una sofferenza, non riesco a capire se veramente le salite sono così dure o se sono io che mi sono lasciata prendere dal malumore e sto quindi vedendo tutto peggio di quanto sia realmente. Per fortuna poi inizia qualche passaggio che si inoltra nei sentieri, l’ombra e un tracciato più ondulato mi cambiano almeno la testa, mi sento più positiva, ma il succo non cambia.

sabato 4 giugno 2016

Quando Muhammad Ali incontrò Malcom X per la prima volta e la sua vita cambiò per sempre


Quando oltre cinquant’anni fa, era il 2 giugno del 1962, Cassius Clay ricevette una telefonata da un certo Sam Saxon, consigliere spirituale dei Musulmani Neri, non poteva sapere che quella chiamata avrebbe cambiato per sempre la sua vita.
Né tantomeno poteva immaginare che da quella breve conversazione, in cui Sam Saxon lo invitata insieme a suo fratello Rudy a Detroit per un raduno dei Musulmani Neri, avrebbe avuto origine la sua rivoluzione da Cassius Clay a Muhammad Ali. Una trasformazione che ha fatto sì che quel pugile così giovane e già vincitore della medaglia d’oro alle Olimpiadi, al quale nessuno dava molto credito e veniva additato dai più come uno sbruffone, nel giro di pochi anni sia diventato una leggenda della boxe e un leader carismatico nella lotta dei diritti civili.
A quella telefonata Cassius Clay rispose con entusiasmo, accettando subito l’invito. Così pochi giorni dopo partì per Detroit, senza sapere che la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa. Perché fu proprio durante il suo viaggio a Detroit che incontrò il suo futuro mentore e amico, Malcom X.

La storia di quel primo incontro è stata racconta nei dettagli nell’ultimo libro dedicato all’amicizia tra Muhammad Ali e Malcom X, scritto a quattro mani da Randy Roberts e Johnny Smith e intitolato “Blood Brothers: The Fatal Friendship Between Muhammad Ali and Malcolm X”. Un incontro che avvenne il 10 giugno 1962 in una tavola calda di Detroit. I due parlarono solo per pochi minuti e più tardi Malcom X confesserà che fino a quel momento non aveva idea di chi fosse Cassius Clay, non seguendo la boxe da quando era uscito dal carcere. D’altra parte il pugile, noto per essere uno sbruffone e per presentarsi solitamente come “il più grande” e il “più bello”, di fronte al leader religioso evitò qualsiasi spacconata.

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