lunedì 22 dicembre 2014

VI AUGURO TEMPO

Vi auguro tempo
Non vi auguro un dono qualsiasi,
Vi auguro soltanto quello che i più non hanno.

Vi auguro tempo, per divertirvi e per ridere;
se lo impiegherete bene, potrete ricavarne qualcosa.

Vi auguro tempo, per il vostro fare ed il vostro pensare,
non solo per voi stessi, ma anche per donarlo agli altri.

Vi auguro tempo, per non affrettarvi e correre,
ma tempo per essere contenti.

Vi auguro tempo, non solo per trascorrerlo,
vi auguro tempo perché ve ne resti.

Tempo per stupirvi e tempo per fidarvi
e non soltanto per leggere l'orologio.

Vi auguro tempo per guardare le stelle
tempo per crescere e per riflettere.

Vi auguro tempo,
tempo per sperare e per amare.

Vi auguro tempo per trovare voi stessi,
per vivere ogni giorno ed ogni ora come un dono....

Vi auguro tempo per perdonare
e per farvi perdonare....

Vi auguro di avere tempo,
tempo per la vita ……



Per tutti i miei amici vecchi e nuovi i miei auguri

Giovanni C.

lunedì 15 dicembre 2014

"Snebbiarsi"©

Rosa bianca sei...
ed aspetti primavera.
Dove il sole
è giallo in cielo
padrona è la gioia
pura l'aria
calmo il cuore.
...Pace...
Solo questo desideri.
...Ora.
Quando un giorno
hai detto si
non pensavi
non credevi
tutto ciò si trasformasse...
...sola, ora....
La scelta ti è costata.
Una piccola te
da crescere
da amare
da vivere.
Sola.
Il malvagio
ancora
non demorde.
Lui ti vede
ti sente
è nascosto...
ti scruta
e tu tremi....
Piccolo fiore
tremi....
Come la rugiada sulle rose
al vento rigido del primo mattino
...tremi....
Gracile la tua anima
delicato il tuo cuore
un fremito di paura
lungo le mani
che stringono forte
le mani
della tua piccina
insieme....
c'è più forza....
insieme...
contro l'empio...
insieme...
per creare qualcosa di nuovo
qualcosa di vero
...perenne...
Come i ghiacciai
che si scagliano
contro il blu...
come il continuo e perpetuo
vagare del tuo cuore
in cerca solo
di puro amore...


Di Carta e d'anima - Raffaella Amoruso

sabato 6 dicembre 2014

La nebbia...

La nebbia
fitta
s'è fatta
galaverna
fra rami nudi
troverà rifugio
un volo.

Sopra ogni dolore
su anime stanche
e grida silenziose
tra poco
scenderà la sera
e sarà gelida...

La nebbia
fitta
s'è fatta
galaverna


@Anna Maria 5.12.2014

domenica 30 novembre 2014

Nebbia

Mi avvolgo
e mi abbandono a questa bruma
A queste lacrime d'aria cinerina
Se bagna le mie ossa
risana ogni ferita.
Io ascolto il suo sospiro
e ad ogni passo
respiro goccia a goccia.
Ad ogni svolta c'è un mondo forestiero
ma io non ho paura,
nessuno può ferirmi.
Sto sola in questo grigio
Lui sa che mi consola. 


Emma Bricola

mercoledì 26 novembre 2014

RISPETTO - NO AL FEMMINICIDIO

Violenza

Spasmo struggente della tua anima.
La voce soffocata
l'urlo muore in gola.
Il buio intorno
solo tu ed il tuo dolore.
A nulla è valso
il tuo no.
Per niente intimorito
ha continuato...
ancora
ancora
ancora
quasi eccitato
dal rifiuto
dal pianto.
Piccolo corpo fresco e solo
che giace
sulla nuda terra
coperto di sola vergogna e paura...


di Raffaella Amoruso
PER NON DIMENTICARE
© di Raffaella Amoruso

giovedì 20 novembre 2014

Un insolito postino

Raccontano in Val Borbera che, c’era una volta un tale Pierino dal cuore d’oro, che pur rischiando la sua vita e il suo posto di lavoro, non faceva mancare niente, oltre le rare lettere e raccomandate, ai suoi abitanti.
Per lui non vi fu mai tregua nei dettami tra il dovere, il piacere ed il dono.
E si sposò con una tenera donnina dagli occhi pieni d’amore, Natalina, dal suo stesso sangue, col suo stesso cognome, quasi il suo destino, il suo compito, fosse stato quello di essere unito in Santa Comunione col mondo che lo circondava.
Gli anni passarono in lieta armonia, e volle il Cielo donargli una figlia devota, Simonetta la chiamarono commossi, quasi a ricompensare quel che un giorno sarebbe stato il suo crudele destino. Un destino che accettò dal Divino senza mai lamentarsi.
E dicono sempre in Val Borbera, che col tempo le sue piaghe si fecero più intense ed incurabili e che confessò al Cielo e ad un suo testimone, l’ultimo, a mo’ di preghiera, come nell’antichità il grande Giobbe, di non trovare più un senso a quel non senso che spesso ci riserva la vita. Ed il testimone intuì quella via senza un ritorno. Provò quell’impotenza che pervade l’animo quando ogni azione risulta vana. Volle convincersi che sbagliava. Ma in preda al panico, in solitudine, il suo cuore pianse. Sapeva, aveva già vissuto quel senso al non senso e ascoltato le parole profetiche di Pierino, che se ne andò in una bella giornata di sole gelido, tra tanti testimoni, escluso l’ultimo, del suo audace operato.
E man mano che mi raccontano, la mia pelle diviene d’oca, e mi sento ognuno di loro, pur non essendo estata né aver potuto sentirmi onorata al suo fianco nella sua dipartita. Mai nessuno del tuo cuore altruistico ti ha ricompensato, solo il tuo godeva del buono del bello che hai dato. E io che di te, Pierino, non ne so niente, di quei tuoi doni che non ho mai ricevuto, della tua benedetta vita che non ho mai goduto, ti ringrazio infinitamente. Tu Pierino, mi hai reso onore, sono stata io il tuo ultimo testimone.


Calzetta Solitaria
Cantalupo Ligure 20 Novembre 2014

domenica 2 novembre 2014

Pensieri … “senza senso”


Il tempo passa i sogni cambiano ma certe “presenze” non le dimentichi. Stanno sempre lì dove tieni le persone speciali, nell’anima.
©Elisa

venerdì 31 ottobre 2014

Halloween

Molto erroneamente, si crede che la festa americana chiamata Halloween, sia la festa di Satana..

Un un po' di correzioni:

1) Non è una festa americana ma celtica (europea dunque)...

2) Essendo celtica non può essere rivolta a Satana poiché Satana è un personaggio introdotto con la chiesa cattolica...

3) Halloween è semplicemente la forma contratta della frase: “All allows’eve” ovvero, “vigilia di Ogni Santi”

4) Il vero nome della festa è Samahin.

Fonte immagine

È semplicemente il giorno più potente (a livello energetico) dell’anno..in questo giorno,terza e quarta dimensione,si fondono...ovvero il mondo fisico e quello astrale o degli spiriti,interagiscono...
Come molte feste celtiche, veniva celebrata a più livelli:
dal punto di vista materiale era il tempo della raccolta e dell’immagazzinamento del cibo per i lunghi mesi invernali..
Questo aspetto della festa ha perso in epoca moderna gran parte del suo significato, visto che oggi le carestie non costituiscono più un problema come presso le antiche società rurali..
Spiritualmente parlando,la festa era un momento di contemplazione..
Per i Celti morire con onore, vivere nella memoria ed essere ricordati nella grande festa che si sarebbe svolta la vigilia di Samhain era una cosa molto importante
Questo era il periodo più magico dell’anno: il giorno che non esisteva..
Durante la notte " il grande scudo" veniva abbassato, eliminando le barriere fra i mondi:i morti avrebbero potuto ritornare nei luoghi che frequentavano mentre erano in vita, e celebrazioni gioiose erano tenute in loro onore.
Questo aspetto della festa non fu mai eliminato pienamente, nemmeno con l’avvento del Cristianesimo..
Questo giorno non è né buono né cattivo..
è solo POTENTE!
Cosa significa allora zucche intagliate o costumi in maschera..
I celti,intagliavano gli ortaggi in modo che somigliassero a loro e li ponevano sui davanzali delle finestre cosicché lo spirito dei loro antenati,li avrebbero riconosciuti e sarebbero andati a trovarli..

martedì 21 ottobre 2014

La leggenda della stella alpina

Una volta, tanto tempo fa, una montagna malata di solitudine piangeva in silenzio.
Tutti la guardavano stupiti: i faggi, gli abeti, le querce, i rododendri e le pervinche.
Nessuna pianta però poteva fare qualcosa, poiché legata alla terra dalle radici.
Su dal cielo, se ne accorsero le stelle e una notte una di loro ebbe pietà di quel pianto e scese dal cielo, scivolo' tra le rocce e i crepacci della montagna, finché si posò stanca sull’orlo di un precipizio. Brrr!!! … Faceva freddo …
Era stata proprio pazza per aver lasciato la serena tranquillità del cielo! Il gelo l’avrebbe certamente uccisa…
Ma, la montagna corse ai ripari. Grata per quella prova d’amicizia data col cuore avvolse la stella con le sue mani di roccia in una morbida peluria bianca. Quindi, la strinse legandola a sé con radici tenaci…E quando l’alba spuntò, era nata la prima Stella Alpina…

di Nadia F.
 
Un po' di leggerezza....la leggenda della stella alpina.

Una volta, tanto tempo fa, una montagna malata di solitudine piangeva in silenzio.
Tutti la guardavano stupiti: i faggi, gli abeti, le querce, i rododendri e le pervinche.
Nessuna pianta però poteva fare qualcosa, poiché legata alla terra dalle radici.
Su dal cielo, se ne accorsero le stelle e una notte una di loro ebbe pietà di quel pianto e scese dal cielo, scivolo' tra le rocce e i crepacci della montagna, finché si posò stanca sull’orlo di un precipizio. Brrr!!! … Faceva freddo …
Era stata proprio pazza per aver lasciato la serena tranquillità del cielo! Il gelo l’avrebbe certamente uccisa… 
Ma, la montagna corse ai ripari.Grata per quella prova d’amicizia data col cuore avvolse la stella con le sue mani di roccia in una morbida peluria bianca. Quindi, la strinse legandola a sé con radici tenaci…E quando l’alba spuntò, era nata la prima Stella Alpina… 


mercoledì 1 ottobre 2014

Un pensiero al giorno: Hello ottobre

“Come dal fango può nascere un fiore, così dal perdono può nascer l’amore!”


Non esiste il caso, né la coincidenza.
Noi, ogni giorno, camminiamo verso luoghi e persone che ci aspettano da sempre.
Il “buongiorno” speciale è quello accompagnato da un sorriso e da un luccichio negli occhi, quello di chi è felice di vederti, perché anche in un “buongiorno” si può mettere amore.♡

mercoledì 10 settembre 2014

Il buio



Quante cose illumina il buio;
i pensieri, le emozioni, i desideri,
 le stelle. 
La luce che le persone speciali hanno dentro di se.

E. Lisa 

martedì 19 agosto 2014

UN’ALTRA ESTATE

Avevo atteso l’estate come si aspetta Natale da bambini.
L’estate e la sua luce, la meraviglia del sole, la voglia di andare via, di cambiare aria, di viaggiare.
E l’estate era arrivata, torrida e puntuale.
Da ogni finestra della città si affacciavano volti accaldati in attesa di una partenza per le spiagge e, la sera, le vie del centro erano un brulicare di corpi ringiovaniti dalla promessa di una vacanza. Di lì a poco le vie, le case, gli uffici, avrebbero cominciato a svuotarsi e le autostrade sarebbero diventate tappeti di automobili fin troppo veloci.
Stanca e annoiata com’ero dal freddo e dagli oneri invernali, non mi ero nemmeno resa conto che la vacanza che avevo tanto atteso vacillava sotto il peso di una serie di problemi organizzativi che alla fine risultarono troppi, e così, senza che avessi nemmeno il tempo di reagire, mi ritrovai senza un programma e senza prospettive.
Fanculo, mai che ci si possa fidare di qualcuno.
I compagni di viaggio vanno scelti con cura, ed ero cascata una volta di troppo in una rete di entusiasmi incapaci di dare una ragionevole conferma di loro stessi.
Ci ero cascata, ed ero sola. Un’altra volta.
Intanto il calore dei muri delle case saliva, non c’era ora del giorno in cui non si avesse il sole addosso, appiccicato alla pelle, da un sudore invadente.
C’era da scegliere. Si poteva restare a letto investiti dal getto d’aria del ventilatore, annegare in una vasca da bagno, o fingere di gradire l’aria condizionata di un centro commerciale, dove, d’estate, i gesti automatici e inespressivi delle cassiere risultano ancora più terrificanti che d’inverno.
D’inverno produrre, commerciare, vendere, comprare, lavorare ha un senso; all’unisono e, con un’esemplare senso di abnegazione al dovere, lo facciamo tutti, in maniera ordinata e costante, senza protestare e senza eccessivi moti di ribellione.
Ma, d’estate, il suono di un lettore di un codice a barre che fa comparire su un display il prezzo di un surgelato echeggia come un grido sinistro e isolato, nell’aria appesantita dal caldo.  D’estate la vita va in stand-by, è tutto sospeso fino a nuovo ordine, tutto interrotto. E nessuno dovrebbe lavorare, né pensare, né produrre, né avere memoria o ricordi.
I ricordi, nella luce accecante di un pomeriggio estivo e urbano, possono assumere forme mostruose, come ombre cinesi prodotte sul muro di una stanza squallida di un motel sull’autostrada, in cui ci si è fermati con l’auto in panne. I ricordi, nell’afa cittadina, non fanno compagnia. Penetrano sotto pelle e corrono lungo le vene, su, su, fino al cuore che li pompa agli occhi, e là si fermano sulla retina per appannarti la vista già così poco chiara.
In un pomeriggio così, affollato di immagini fuori corso di validità e ormai spettrali, mi ero ritrovata, senza nemmeno sapere come, a percorrere in auto una strada che portava fuori città. Più mi allontanavo dalle case, dai palazzi, dalle storie che raccontano e dalle promesse che non mantengono, più mi sentivo inebriata e terrorizzata al tempo stesso.
Lanciata verso una meta sconosciuta, mi allontanavo dalle poche cose che conosco davvero, volti, luoghi, strade; premevo sull’acceleratore, mentre mi lasciavo indietro, una a una, le familiarità, ognuna abbinata a un ricordo o a una suggestione, e tutte conficcate nella gola, come spianate ed erette a ostruire il passaggio del fiato.
Non sapevo se avere più paura di quello che conoscevo e che stavo almeno temporaneamente lasciando, o di ciò che avrei trovato. Guidavo senza attenzione, guidavo e basta, ormai persa in posti che iniziavano a essere desolati e deserti.
Il gioco era allestire una sfida tra il deserto che avevo dentro e quello che c’era fuori, non senza, al tempo stesso, cercare di convincermi che avrebbe avuto più senso voltare l’auto e tornare sui miei passi.
Ma non ci riuscivo, era come combattere contro una forza misteriosa e nuova.
E nemmeno la musica che cercavo di far uscire dall’autoradio mi era tollerabile.
Ogni nota, ogni canzone mi riportava a cose già viste, che non volevo più vedere né sentire.
Meglio il silenzio, meglio pensare, anzi, no, meglio non pensare, meglio sentire, meglio lasciarsi divorare dalle immagini aggressive e impietose che continuavano ad affiorare sempre più vorticose e taglienti.
Sentire sulla pelle il dolore non è come pensarlo, è un’esperienza ben più estrema, e guidare con gli occhi appannati dalle lacrime è un po’ come giocare a mosca cieca, procedi a tentoni fino a quando, un po’ per caso, un po’ per istinto, trovi al tatto qualcosa che pensi sia quello che cercavi.
Non so quanto tempo fosse passato, non lo so e non lo volevo sapere, so che a un certo punto ho fermato la corsa, quasi bruscamente spinta dal bisogno di un caffè, e dall’incontro magico con una scritta scolorita, dietro alla quale si immaginava l’esistenza di un bar, uno di quei posti che esistono solo fuori città o nelle periferie, pieni di fumo e di uomini con la barba da fare e l’alito pesante. Una volta luogo di ritrovo degli anziani, oggi coacervo di etilisti, di tamarri appiccicati a un videogame e di puttane albanesi.
In realtà il bar era quasi deserto. Due vecchi sorseggiavano una pozione simile a vino e un giovane fumava a un tavolo.
Ho bevuto il mio caffè, prendendomi il tempo di assaporare quanto fosse cattivo, e pensai che la città ha i suoi vantaggi, almeno puoi scegliere dove assumere caffeina farti avvelenare, e senza sprofondare in un incubo suburbano.
Eppure tutto aveva un suo fascino e quantomeno, era più vero dell’atmosfera di plastica che il giorno prima avevo respirato nel centro commerciale dove avevo cercato refrigerio.
Mi sono accesa la prima sigaretta, quella d’ordinanza, poiché a ogni caffè ne corrispondono almeno due, fumate avidamente con un breve intervallo, e ho pagato, ostentando al barista un formalismo assolutamente fuori luogo e troppo cittadino. Dove cazzo credevo di essere?!? Da Baratti?
Bah….
Sono risalita in macchina con una risolutezza assolutamente inadeguata all’assenza totale di una meta, ho riacceso il motore e improvvisamente ho messo a fuoco lo squallore del posto in cui mi trovavo.
Alle mie spalle una strada diritta, quella da cui ero arrivata, era costeggiata da capannoni industriali e da qualche casa isolata; vicino al bar campeggiava un mobilificio chiuso e, oltre, si intravedeva un passaggio a livello con le sbarre sollevate.
La strada proseguiva e io con lei, ormai estranea a tutto.
Mi chiedevo se essere rapita dai beduini o dai predoni del deserto potesse assomigliare a quello che stavo vivendo, come se in quel posto mi ci avesse trascinato qualcuno a forza.
Eppure era così. Ero arrivata lì contro la mia volontà, mi ero persa nel deserto squallido di una provincia rovente del nord, catturata dalla necessità impellente di sfuggire all’agonia solitaria di una città bollente e vuota.
Ero stata teletrasportata in questa landa desolata da un raggio virtuale, che era l’emanazione diretta del bisogno che si ha di perdersi, quando trovarsi è impossibile.
E mentre sprofondavo nel desiderio onirico di veder spuntare, da dietro le dune, lanciati sui loro cavalli al galoppo, gli Uomini Blu dai quali avrei voluto essere portata via, per essere segregata tra i loro palmizi ricchi e abbondanti , mi fermai.
Fermai l’auto, guardai attentamente il paesaggio e mi resi conto che ero già stata in quei luoghi, che conoscevo quella strada e che non c’era nulla di nuovo in quello che stavo facendo, e niente, tra ciò che avevo intorno e dentro di me, che mi fosse estraneo.
Tutto era solo più acceso e amplificato dalla desolazione e dalla calura torrida dell’estate, ma niente era nuovo e niente era così importante da meritare che io ci volessi sprofondare dentro.
Voltai l’auto verso la città, mentre realizzavo con la delusione che inevitabilmente si prova ogni qual volta si sperimentano certi involuti percorsi dell’animo umano, che non avevo compiuto nessuna grande impresa e che ciò che sentivo era solo il vuoto dell’immobilismo…
Ero partita alla ricerca di un’oasi in cui rigenerarmi, pensando di meritare chissà quale premio per aver azzardato un viaggio in auto in provincia, o ancor di più, per essermi lasciata toccare dal dolore, ma in realtà, non mi ero mai mossa dal punto in cui mi hai lasciato tu.
Avevo presidiato il mio avamposto, con la presunzione di aver compiuto un’impresa cui sia dovuto un merito; avevo creduto di aver viaggiato tra le dune, con la sabbia che ti penetra ovunque e l’arsura nella gola, cercando un’oasi di acque chiare e di palme rigogliose in cui trovare riposo.
Ma l’oasi è un premio che spetta ai viaggiatori, alle carovane di viandanti e ai commercianti di spezie che faticano a dorso dei loro cammelli per portare il carico a Occidente.
Io, dovevo ancora partire.

di Simonetta Bisicchia
 
Cascina Macondo - Scritturalia, domenica 6 febbraio 2005

martedì 15 luglio 2014

Ulisse, il gallo e altre storie

Conviene attesa
quando anche il gallo
che cantò tre volte resta muto.

Quand’anche il furbo Ulisse
tradisce se stesso e il viaggio,
cancella la stirpe, e sceglie
per suo cavallo Ronzinante.

Conviene attesa
quando parole degne di libertà,
che in ogni tempo è stata solo suono,
cadono sfinite, per morire su un foglio
senza eco.

Oh, se si tratta di andare tutti andiamo,
con arroganza, senza timidezze,
ma la mappa è persa.

Il dove e il come sono da decidersi:
deciderà il tempo, capo dei capi,
poi lo stato dei fatti, il caso,
le nostre gambe malferme,
mani cieche che hanno perso il tatto,
occhi che rinunciano a vedere
schiavi di un guardare allucinato.

Oh, se si tratta di amare tutti amano,
ma di un amore che si sente vecchio,
stretto dentro ai contorni consunti
di uno specchio.

Gli specchi in pollici dettano leggi
e le leggi non hanno morale
sono o non sono.

Per mio conto cerco notti,
quando la luna è nera,
quando le luci si chiudono
dietro ad un sipario insoddisfatto.

Eppure eravamo titani
forse anche dei, magari minuscoli
con la capacità di un niente da arricchire,
disegnare e dipingere.

Dire non basta,
servono saette e vento marino, lava interiore.

…Ci basti per oggi, scrivere due righe
per domani.

Abner Rossi 

dal Blog ufficiale

11 luglio 2014 (ore 12,35)
poesia depositata siae

uomo in fuga


venerdì 11 luglio 2014

Un mondo di sogni ...


... dove il cielo è pieno di stelle
e la luna gioiosa danza al passo dei fiori
che crescono sotto la neve.
In questo mondo di affetto, di serenità,
voglio piantare la mia tenda e restare.
In questo mondo di sogni, depongo le mie ali
che non sanno più volare, ed aspetterò che per me … 
ritorni la vita.

giovedì 26 giugno 2014

Le ali della mente

Ho camminato sulla terra nuda
Su sassi e rovi pungenti...
Un vento arido, caldo
Ha portato via chi m'ha protetto
E abbracciato piccola
E chi, piccolo germoglio,
abbracciar non potei.

Mi graffia la realtà
Con le sue ruvide mani
E allora chiudo gli occhi
E corro sfiorando coi piedi
Verdi prati fioriti
Nel sole di primavera
Tra musiche e canti
Che si librano nell'aria
Senza spartiti né orchestra...
E volo cieli sconfinati
Con ali leggere
Su candide nuvole
E rinfresco e libero
Il mio cuore bruciato.
E poi giù giù
Nuoto in un mare profondo
Dove una luce di vetro
Rivela tesori preziosi.
Così la mente in sogno
Cura le mie ferite.
Ma poi bevo felicità
In attimi reali
Che durano all'infinito
E il cuore si libra
In voli inebrianti
... e la realtà sorride.

Cos'è il sogno
Se non un fiocco
Di divinità
Dimenticato in noi
Da chi ci ha creato?

Rosa Maria Marongiu

venerdì 13 giugno 2014

Come stanno le cose

Ho un urlo nella gola, la vita a soqquadro.
Potrei dire che ho peccato ma non ricordo quando
e non ricordo dove, forse non ho capito

sono stata fuori di me cercando forte
non mi sono trovata – nemmeno lì-

Dovrò credere al vicino, anche la sua mucca
capisce piemontese e ha smesso di figliare,
lui è morto – sa le cose come stanno –

Tu entra di spalle, e chiudi
conosco bene solo la tua schiena.


Lucia Marilena Ingranata

sabato 7 giugno 2014

Amore adulto

Un giorno nella vita all'improvviso
ti capita l'Amore, quell'amore che
si appiccica alla pelle, s'infila dentro
il cuore, scivola in ogni tuo pensiero
e toglie il respiro ad ogni attimo,
quell'attimo che fino a poco prima
non aveva più luce.
Non importa se quell'amore è arrivato ora
in contemporanea alle prime rughe sul viso,
tanto lui non ci fa caso, tanto le vere rughe
sono tutte lì, sopra il cuore.


Lisa 

giovedì 29 maggio 2014

Avrei Dovuto

Avrei dovuto leggerti dentro,
passo dopo passo,
l'amore a memoria che conosco di te.
Avrei dovuto porgerti le mani,
respirare la luce dei tuoi occhi
lungo i sentieri silenti dei tuoi pensieri,
tenerti le mani sui fianchi
all'ombra di ginestre intrecciate
ai tuoi riccioli neri.
Avrei dovuto ubriacarmi
della tua allegria, che sa di pulito
come panni stesi al sole di calendimaggio.
Avrei dovuto coglierti subito
dal ramo fiorito e dirti ti amo,
morderti le labbra di fame e di sete
per poi intingere l'anima nel tuo frutto maturo;
chiudere gli occhi e vivere di te.
 
 
Antonio Mariani
 
dal blog "Ci riprovo"

giovedì 22 maggio 2014

Award 2014 – “La rosa della Amicizia”

AWARD 2014
“Lovely Blog” Award ♡

Il premio funziona così:
Condizioni del premio: niente condizioni …. 


ma se voi …
raccontate ai vostri lettori 10 cose che si sappiano o meno di voi ma che sono vere. Indicate dieci persone che hanno diritto al premio e siate sicuri di far loro sapere che sono stati contrassegnati – un breve commento sul loro blog andrà bene -


La cosa bella di questo premio, non è tanto la catena, che si può anche interrompere, ma dire qualcosa di se.
Questo lo trovo bello e perchè no?- ci aiuta ad avvicinarsi un pò di piu’… non dimenticate;

Dietro ogni essere umano c’è un paradiso piccolo o grande dove ci si puo’ rifugiare a sognare per vivere. ~ Romano Battaglia ~

Non dimenticate di collegarvi di nuovo al blogger che vi ha premiato.
Lisa-Poesilandia  …
Credere non è fidarsi
Amare non è sopportare
Accontentarsi non è vivere.

Continua qui

martedì 20 maggio 2014

Resurrezione


Inquietudine silenziosa,
desolante attesa
in un assente presenza,
di mille ricordi
di un uomo infelice
indurito dal tempo;
risorge dal buio
di dolori sepolti
tra finti sorrisi
tra giovani rughe,
l'innocente sorriso
mi ha ridato la vita,
il gioioso vagito
ha spazzato le nebbie.
parole.it/poesie/poesie-anonime/poesia-224213?f=t:69>

martedì 6 maggio 2014

La poesia ha per padrone l’amore


Così come Maggio è più bello di Aprile
perchè l’amore si ferma
a raccogliere raggi di rose in boccio
e dischiude petali d'anima,
così l’amore è più bello
se va oltre il confine dei sensi
e vola fino al limite estremo
di ogni dire , nella parola Madre
per arrivare nella luce che scioglie la notte
nell’aurora che bagna di brina i boccioli
L’amore che non parla , ma dice
che le stelle splendono come bussole sul mare
che la luna s’arrossa e s’ingrossa in un cielo arso di veglie
L’amore che non dice, ma compie passi vogliosi di emozioni
che attivano sussulti sulla pelle, sui corpi vogliosi
di silenzi e d'incanti donati al ritmo di una poesia .
L’amore che cerca l’impulso che non sa dov’è
ma di certo c’è intorno o dentro
basta solo volerlo raggiungere
Amore è ciò che abbiamo bisogno
forte , dolce , invitante
che chiediamo con le mani in segno di preghiera
con voci che sussurrano ed invocano
con sguardi ansiosi e sereni che cercano
ed esplodono nel mistero della vita
nel linguaggio della poesia.

Antonia Scaligine

sabato 3 maggio 2014

Pensare


Alla fine quando sono qui rivedo
la giornata trascorsa
le persone le sedie gli alberi.
Ecco è tutto qui il mio pensare,
come in auto quando dallo specchietto
alle spalle vedi che passa dietro
la strada, e allora lo senti
che a reggerti sulla schiena
è tutto quello scorrere
quel grande fiume di asfalto
e mondo che ti porta
dritto a casa
fin dentro al garage.
Lì dove c’è sempre
una serratura da girare
lì dove in punta di piedi
sottili si passa per quell’unico
punto che conta. 

                    Paolo Pistoletti

giovedì 1 maggio 2014

Cento anni sono un giorno

Cento anni sono un giorno,
un giorno solo.
E in un giorno si possono incontrare tutti
gli occhi tutte le mani tutte le fatiche
che per cento anni hanno scavato il mondo.
Il mondo non è stato buono
con le mani con le fatiche che hanno scavato
e con gli occhi che l’hanno guardato.
Gli occhi hanno visto il sangue scendere
sopra la fatica delle mani.
Cento anni fa c’era una speranza forte
dentro alla fame e al dolore.
Cento anni fa cominciava un cammino
che non è ancora finito. Non è ancora finito.
Il cammino è incominciato quando
una voce ha risposto a una voce
una mano ha stretto una mano
un passo ha seguito l’orma di un passo
e voce mano passo camminavano avanti.
Quando una voce ha gridato “fratello”
ed è arrivato un fratello
quando ha chiamato “compagno” “compagna”
e una piazza si è riempita di gente.
La lotta è speranza del futuro.
Poi il futuro è arrivato
ancora le voci si chiamano
si ascoltano i passi, le mani si stringono insieme.
Nessuno dei vecchi
è ancora un’ombra dispera nel sole
e sulla strada sempre segnata di orme
arrivano i giovani e portano nuove bandiere
i giovani arrivano e portano le nuove parole.


Roberto Roversi 

domenica 27 aprile 2014

Il mio paradiso perduto

Caldi raggi dorati
mi scaldavano l'anima,
neanche una nuvola
in quel pallido intenso azzurro
di una solare giornata estiva,
sdraiato sul fresco manto verde
di un prato rubato alle favole
non pensavo a nulla d'importante;
ero rimasto incantato dalla bellezza
del celestiale creato.

Mi sentivo in paradiso,
almeno in quello da me desiderato,
la serenità del momento
era l'unica ambizione della mia vita,
in quel cielo dall'incredibile splendore
il mondo mi sembrava del tutto angelico,
nulla poteva essere diabolico,
ma l'Eden tanto decantato
da poeti e scrittori
non era mai durato
un'eternità.
In attimo il cielo cambiò,
l'azzurro divino era sparito,
un'enorme nube grigiastra
aveva oscurato anche il mio umore,
un minaccioso uragano che avanzava
aveva già rovinato la mia esistenza!

Come un altro angelo caduto
ero perso nel mio purgatorio terreste
a espiare il mio peccato originale,
quella ricerca della verità,
il viaggio che solo a pochi eletti
era permesso di intraprendere
mi era costato molto caro.
Da quel maledetto momento in poi
la luce della speranza mi abbandonò,
l'inferno diventò la mia nuova dimora
e l'infelicità regnò sovrana sul mio spirito:
seguendo un altro tormentato percoso
per ritrovare la pace dello spirito
non ero più sicuro di niente...
se mai avrei ancora vissuto
il mio paradiso perduto!
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-catartiche/poesia-213691?f=t:152>

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