mercoledì 15 agosto 2012

L'ameba

    • C'era una volta un'ameba che non sapeva di esserlo. Ignara delle sue origini, si incamminò alla ricerca dei suoi simili, nella speranza di trovare il proprio gruppo di appartenenza.
      La sua difficoltà maggiore era capire la sua forma non ben definita e quell'aspetto mutevole conseguenza del movimento delle sue

      zampette improvvisate, che apparivano in qualsiasi posto del suo corpo a mo' di capriccio.
      Non si dava pace, non poteva credere di essere nata in una vaschetta di acqua putrefatta e di essere costretta, per sopravvivere, a nutrirsi fagocitando esserini brutti e fatiscenti. Ma mangiava soltanto i cattivi.
      Ogni tanto aveva l'impressione di essere osservata da un mostro gigantesco che emetteva suoni spesso pacati e articolati, mentre a volte, soprattutto quando lei rifiutava il cibo allontanandosi, i suoi vocalizzi diventavano singhiozzanti. Contrariamente a lei, quell'essere si muoveva alla velocità della luce e ogni tanto la puntava con un raggio violento che le attraversava le interiora. Non capiva il perché tanto interesse nei suoi confronti. Forse voleva mangiarla una volta cresciuta, visto che il cibo era all'ordine del giorno, o semplicemente studiava la sua specie per poterle dire un giorno chi era. C'erano altre vaschette che intravvedeva da lontano, ma le attenzioni di quel mostro erano quasi tutte per lei.
      Una sera, non potendone più della puzza che sentiva, coraggiosa, pianificò la fuga. Aspettò la penombra e pian piano, molto molto lentamente, passò tra un vetrino, una bottiglia, un tappo di sughero e altre vaschette, gustando di qua e di là tutto ciò che quello sconosciuto mondo le offriva. Ma non trovò, lungo la via, nessuno che le somigliasse.
      Il tempo scorreva veloce tra assaggi di zucchero, pezzetti di verdure, pollini. Il primo raggio di luce la abbagliò ed ebbe nuovamente l'impressione che quella presenza enorme le si stesse avvicinando, mentre sembrava farfugliare con entusiasmo con qualcun altro.
      - Corri, nasconditi prima che ti becchi! - disse una vocina.
      - Chi sei, non ti vedo, perché mi devo nascondere? - rispose Ameba.
      - Quello è l'uomo. Sperimenta con noi, capisci? Io sono un acaro. Ti squarterà in mille pezzetti come ha fatto con le altre creature. Però devo dire la verità, tu sei decisamente diversa dalle altre. È da tempo che osservo e ho notato che con te ha una cura particolare.
      - Ah sì? E le sue buone attenzioni sarebbero quella puzza? Ma per chi mi ha preso? Oddio, non lo so neppure io cosa sono... Comunque, se non è perché devo difendermi, io quelle bestiole mi rifiuto di mangiarle, non mi hanno fatto alcun male! - rispose Ameba adirata.
      - Forse lo fa con tutte le sue buone intenzioni, convinto che tu ne vada ghiotta. A ogni buon conto, dammi ascolto, scappa!
      Spaventata, ma non più di tanto, con parsimonia, date le sue modeste possibilità, Ameba si tuffò, senza rendersi conto, quasi fosse stata portata dal vento, in un bicchiere che all'improvviso formò un maremoto volante.
      Sentì nuovamente parlare i due uomini, mentre uno di loro portava il recipiente verso quel che ad Ameba sembrò una colossale caverna dove, man mano, cascava assieme all'acqua senza poter opporre resistenza, per trovarsi infine lungo uno scuro tunnel in discesa.
      Nel buio più completo, Ameba si trovò in una specie di piscina a dondolo con dell'acido che le faceva il solletico. Ci restò per un bel po' anche se lei non aveva nozione del tempo. E ringraziò l'uomo per questo simpatico gioco. In men che non si dica però un tappo in fondo all'incantevole piscina si aprì e scivolò nuovamente lungo un altro tunnel.
      - Vieni, unisciti a noi, qui c'è cibo per un reggimento – dissero altre apparentemente uguali a lei che si trovavano lì.
      - Cosa? Nuovamente questa puzzaccia? Ma vi state mangiando quelle povere cellule, che male vi hanno fatto?- rispose Ameba.
      - L'importante è mangiare e abbuffarsi, dell'uomo che ce ne importa! Ma tu non sei come noi? Siamo amebe!
      - Non posso essere un'ameba. Io queste schifezze non le sopporto. E poi, l'uomo mi è simpatico. Me ne vado, buon appetito, che vi vadano di traverso le cellule!
      - Vai, vai, cretina che non sei altro!
      Sconsolata Ameba, allungandosi come poteva con le sue improvvisate zampette, iniziò a farsi strada tra il fetore. Ma a un certo punto incontrò un ostacolo, un gruppo di cellule completamente diverse dalle altre belle rosee. Si riproducevano a una velocità strepitosa, togliendo nutrimento a tutte le altre.
      - Chi siete voi? Mi presenterei, ma non so chi sono. - commentò Ameba.
      - Cancri, cancri, cancri! Togliti dai piedi mocciosa! - risposero quelle.
      Altre cellule di colore bianco uscivano dai tessuti per uccidere quelle cellule diaboliche, ma purtroppo una dopo l'altra perdevano la vita durante il combattimento. Allora, Ameba, pensando che quelle creature coraggiose nella lotta appartenevano all'uomo, presa da una furia che non sapeva neppure lei di avere, ricordando il fagocitare spudorato delle amebe cattive che aveva incontrato, iniziò a divorare i cancri senza alcuna pietà.
      Pure la sua crescita, mangiando così sfrenatamente, diventò smisurata:
      - E ora cosa faccio? Oddio, non riuscirò ad attraversare il tunnel! - pensò a voce alta.
      - Dividiti come fanno gli altri esseri unicellulari e poi ci lasci qualche parte di te, piccola piccola, che possa venire con noi attraverso il sangue. I tuoi figlioli distruggeranno così gli altri cancri che hanno migrato in altre parti di questo umano. Sai che sei veramente brava?- risposero i globuli bianchi.
      - Cosa? Ma io di questi figlioli non ne so niente...- rispose sconsolata.
      - Aspetta, ti aiutiamo! - esclamarono i globuli bianchi mentre si tuffavano verso di lei.
      - Un attimo! Un attimo! Va bene d'accordo, ditemi come si fa - rispose Ameba un po' impaurita.
      Un globulo tirò da una parte, un altro dall'altra e in poco tempo Ameba sembrò aver partorito dieci squadre di amebine, ognuna delle quali prese la sua strada.
      Un gruppo riuscì a vedere nuovamente la luce e guidate da lei, da quell'Ameba che nonostante tutto non sapeva ancora di esserlo, si incamminarono quasi per miracolo verso la vaschetta di acqua putrida per salutare l'uomo.
      E lui sorrise.


      di  Calzetta Solitaria

      racconto riferito a questo video

      Cos'è l'Ameba

Nessun commento:

I dieci versi dalle canzoni di Battiato da appuntarsi e non dimenticare

Il cantautore, morto ieri nella sua residenza di Milo, era nato a Jonia il 23 marzo del 1945. Ha spaziato tra una grande quantità di generi,...