venerdì 23 luglio 2010

La bicicletta

Non si riesce a capire come, in quella fettaccia di terra che sta fra il grande fiume e la grande strada, ci sia stato in tempo in cui non si conosceva la bicicletta. Difatti alla Bassa, dai vecchi di ottant’anni ai ragazzini di cinque, tutti marciano in bicicletta. E i ragazzini soni speciali perché lavorano con le gambe di sbieco in mezzo al triangolo del telaio e la bicicletta cammina tutta di traverso, ma va. I vecchi contadini viaggiano per lo più con vecchie biciclette da donna, mentre i vecchi agrari col pancione adoperano ancora vecchie “Triumph” col telaio alto e montano in sella servendosi del predellino avvitato al perno della ruota posteriore. C’è davvero da mettersi a ridere vedendo le biciclette dei cittadini quegli scintillanti arnesi di metalli speciali, con impianto elettrico, cambio di velocità, portapacchi brevettati, copricatena, contachilometri e altre porcherie del genere, quelle non sono biciclette, ma giocattoli per fare divertire le gambe. La vera bicicletta deve pesare almeno trenta chili. Scrostata della vernice in modo fa conservarne soltanto qualche traccia. La vera bicicletta, tanto per incominciare, deve avere un solo pedale. E dell’altro pedale deve essere rimasto soltanto il perno che levigato dalla suola della scarpa, luccica meravigliosamente ed è l’unica cosa luccicante di tutto il complesso. Il manubrio, privo di manopole, non deve essere stupidamente perpendicolare al piano della ruota, ma deve essere spostato a destra o a sinistra di almeno dodici gradi. La vera bicicletta non ha parafango posteriore: ha soltanto quello anteriore in fondo al quale seve penzolare un buon pezzo di pneumatico d’automobile, preferibilmente di gomma rossa, per evitare gli spruzzi. Può avere il parafango posteriore, qualora dia fastidio al ciclista la striscia di fango che si viene a formare sulla sua schiena quado piove. In questo caso, però, il parafango deve essere incrinato un bel pezzo in modo da permettere al ciclista la frenata all’americana che consiste appunto nel bloccare con la pressione del fondo dei pantaloni, la ruota posteriore. La vera bicicletta, quella che spopola le strade della Bassa, non ha freno e i suoi copertoni devono essere debitamente sbudellati indi tamponati con trance di vecchie gomme, in modo da creare nel tubo pneunatico quei rigonfiamenti che poi permettono alla ruota di assumere uno spiritoso movimento sussultorio. Allora la bicicletta fa veramente parte del paesaggio e non dà neppur lontanamente l’idea  che essa possa servire a dare spettacolo: come appunto succede con le biciclette da corsa che rispetto alle vere biciclette, sarebbero come le ballerine da quattro soldi nei confronti delle brave e sostanziose donne di casa. D’altra parte un cittadino queste cose non riuscirà mai a capirle perché il cittadino nelle questioni sentimentali, è come una vacca piena di melica. Questi cittadini che sono pieni fino agli occhi di porcherie morali, e poi chiamano “mucche” le vacche perché, secondo loro, chiamare vacca una vaccca non è cosa pulita. E chiamano toilette o water closet il cesso ma lo tengono in casa mentre, alla Bassa, lo chiamiamo cesso ma ce l’hanno tutti ben lontano da casa, in fondo al cortile.  Quello del water nella stanza vicina alla stanza dove dormi o mangi sarebbe il progresso, e quella del cesso fuori da dove vivi sarebbe la civiltà. Cioè una cosa più scomoda, meno elegante ma più pulita.
Nella Bassa la bicicletta è una cosa necessaria come le scarpe. Anzi più delle scarpe perché mentre uno anche se non ha scarpe ma ha la bicicletta può andare tranquillamente in bicicletta.  Uno che  ha le scarpe ma non ha bicicletta deve andare a piedi.  Qualcuno magari osserva che questo può succedere anche in città: ma in città è un'altra cosa per via che c’è il tram elettrico, mentre nelle strade della Bassa, non ci sono rotaie ma soltanto, segnate nella polvere, le righe diritte delle biciclette e dei barocci e delle moto, tagliate ogni tanto dal solco leggero e saettante che fanno le bisce quando passano da un fosso all’altro.

Tratto da “Don Camilo e il suo gregge” di Guareschi

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