lunedì 25 gennaio 2010

Pensieri di un anoressica

Oggi voglio ricordare il mio inferno...e' il momento giusto,l'ora ideale per farlo.
Sono stata ammalata per 10 lunghi,infiniti anni, di una malattia terribile e senza senso,che ti uccide,ma prima di far morire il tuo corpo fa morire dentro.
La malattia e' stata una belva annidiata dentro di me, e
adesso ne voglio parlare,perche' si puo' stanare e mandare via.
Ho pensato tanto a come ho potuto arrivare ad un delirio tale da distruggere me stessa e tutti coloro che hanno tentato di avvicinarsi a me.
L'unica motivazione,l'unica importante per me e' la mia fame insaziabile d'amore.....non mi bastava mai,mi sembrava sempre di non essere amata,di svanire e diventare trasparente e io volevo urlare e dire che volevo soltanto che le persone mi amassero e invece stavo zitta.
Anni di terapia hanno portato in superficie ricordi che neppure pensavo fossero miei.....il mio sbalordimento quando mio padre faceva una carezza a mia madre e il dolore sordo perche' non era destinata a me, l'arrivo di un fratellino,amatissimo,ma la notte pregavo gesu' bambino che lo facesse diventare un angelo.....e infiniti attimi congelati dentro di me,fermi come chiodi infilati nel cuore,nell'incoscio,nello spirito.
Man mano che crescevo sentivo di perdere l'amore di chi mi circondava e di non riuscire a trovarlo nel mondo che mi circondava, odiavo il mio corpo che perdeva le fattezze di bambina per sbocciare come donna...ad un certo punto la mia mente s'e' inceppata,girava a vuoto...guardavo il cibo e ne avevo repulsione,era sporco,era fatica....era vita.
L'insegnante di ginnastica di terza media nonostante al tempo nessuno conosceva l'anoressia,si rese conto che quella ragazzina taciturna era ossessionata dal suo corpo in modo malsano...e mando a chiamare i miei genitori,dicendo loro-la ragazza ha una visione distorta di se e del suo corpo-e poi chiamo il mio delirio,la bestia per nome:anoressia.
Ricordo lo sguardo perplesso e spaventato che si rivolgero allora i miei genitori...solo quella volta,dopo erano semplicemente disperati.
Man mano che la mia follia prendeva il sopravvento,iniziammo la girandola di visite tra ospedali,cliniche,dottori...ma nessuno sembrava in grado di aiutarci, in moltissimi non avevano una preparazione adeguata...e intanto io morivo piano piano e uccidevo e distruggevo tutto,la mia famiglia,mio fratello,gli amici,tutto e tutti vittime insieme a me di un orrore che se non lo vivi,non riesci neanche a immaginare.
Dieci anni di quell'orrore...il mio nascondere il cibo e sentirmi potente,perche' avevo il controllo del mio corpo e mi sentivo invincibile......l'esasperazione dei miei,le botte qualche volta,le lacrime di dipserazione di mio padre,che mi vedeva svanire senza riuscire a fermarmi.
E dentro di me sempre un dolore sordo,senza parole,senza espressione....ero una ragazzina che la notte si accarezzava lentamente,non per regalarsi piacere,non per sognare l'amore,ma per sentire e contare le costole,per sentire le ossa del bacino bucare la pelle,per sentire ogni singolo osso del corpo ricorperto solo di pelle.
Il ciclo e' sparito per mesi e mesi e io chiusa nel mio delirio gioivo; avevo vinto sulla natura,sul mio corpo,ma non riuscivo a spegnere quel grido silenzioso,quelle lacrime brucianti che di notte mi solcavano il viso.
Nonostante tutto ancora nessuno,mi amava,mi colmava di quell'amore che io volevo e mi sentivo svanire.
Sono poi arrivati gli uomini...uomini molto piu' grandi di me,perche' i ragazzi della mia eta' mi trovavano ripugnante per lo stato in cui ero,bestie forse piu' affamate di me, affamate di sogni, giochi,di semplice carne. Ogni volta prendevano e laceravano lo spirito,mentre la mente si frantumava di pensieri assurdi e invece di essere colma d'amore,mi sentivo sempre piu' vuota,e sempre piu' svanire.Il mio corpo era l'involucro dell'anima,quella non si lasciava sporcare e restava un'innocenza che ancora di piu' attirava quegli uomini.
Uno tra i tanti,a cui forse rimordeva la coscienza di andare con una minorenne,cercava dopo aver avuto la sua mezz'ora d'illusione,di farmi fare merenda. Lo ricordo, ed e' allucinante come s'alzava dopo dal letto e cominciava a farmi pane e nutella...........
Anni di torture,di ricoveri, di quel dolore che restava silenzioso,quel grido dentro che non trovava parole,il mio corpo martoriato dalla bestia....quando c'e' stata la svolta? sembra assurdo ma e' stato un attimo fugace,eppure eterno,durato all'infinito...io e mio padre seduti per terra dopo la guerra per farmi mangiare,dopo le suppliche,dopo le minacce....ricordo i suoi occhi,la luce s'e' spenta dentro, s'e' afflosciato tutto e guardandomi mi ha sussurrato-se deve essere cosi' spero che tu muoia,perche' noi non ce la facciamo piu'-.
Li sono tornata me stessa per un breve momento e ho provato orrore di me stessa e della follia in cui ero precipitata.....e ho lasciato che mi aiutassero,ho iniziato io ad aiutarmi, a trovare le parole per quell'urlo silenzioso che frantumava la mia anima.
La strada e' stata dura,difficile,piena di errori e ricadute,ma finalmente il muro che c'era intorno a me s'e' incrinato,l'amore vero,quello che colma l'anima ha iniziato ad entrare dentro di me...la fragilita'seme per la vita e non per la morte...i miei genitori son tornati a tenersi per mano, la vita a dipanarsi intorno a me...
perche' ho voluto raccontare tutto questo? perche' ogni tanto ancora una mano mi stringe la gola quando devo inghiottire cibo...ma c'e' una piccola vita adesso dentro di me,l'amore che davvero colma ogni vuoto e un giorno voglio guardare il mio bambino e raccontare queste stesse parole...le parole dell'urlo silenzioso.

"DEDICATA A CHI SI E' SALVATA,PERCHE' L'AMORE PUO' SALVARE"

Elisa Cordovani-inedita

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sabato 23 gennaio 2010

L'ora persa

L'ora persa non torna
sarebbero bastate le tue carezze
a lenire sussulti di cuore
tra rintocchi di buio e lune inquiete.
lascia che pianga adesso
sull'addio e su un corpo non piu' mio
su una vita in uno specchio,
riflessi ignoti.
Il giorno ti ha portato via
con l'arroganza dell'uomo,
non serve impastare
speranze e illusioni,
ho l'animo bruciato di sogni
e tremo di parole ancora da dire

Elisa Cordovani-inedita

giovedì 21 gennaio 2010

Una storia d'autismo

...Beth è una ragazza di 23 anni, con autismo e con un ritardo mentale grave. Fin dall’infanzia è vissuta in un centro residenziale ed è fortemente dipendente dagli altri, oltre a richiedere una continua supervisione. Ha un linguaggio verbale ecolalico. Beth, talvolta, manifesta livelli d’ansia molto elevati e una certa labilità d’umore, che spesso prelude a comportamenti problematici.
Al momento della morte di suo padre, Beth viveva in centro residenziale per adulti affetti da autismo. Due membri dello staff la informarono della morte di suo padre, avvenuta improvvisamente per un attacco cardiaco. Fu messa al corrente del fatto in un modo molto semplice, ma realistico. Lì per lì non mostrò di avere preso coscienza della perdita: chiese solo una tazza di tè. Nelle settimane successive Beth manifestò un comportamento distruttivo, perdendo qualsiasi interesse per il cibo, piangendo e gridando, e trascorrendo molto tempo nella toilette con un asciugamano sopra la testa. All’inizio, quando le si chiedeva dove fosse suo padre, rispondeva: «A fare la spesa» oppure «A casa».

...

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martedì 12 gennaio 2010

I bambini e l'orco. Il massacro di Bullenhuser Damm - 1



Napoli, quartiere Vomero, 29 novembre 1937

La nostra storia potrebbe cominciare da molti luoghi.
Dalla Russia patria di ventiquattro soldati prigionieri, dalla Francia dove un medico candidato al premio Nobel lavorava. Dalla Polonia, dalla Jugoslavia o dalla Germania.
Tra le tante possibilità la nostra storia inizierà in Italia, a Napoli, quartiere Vomero, al numero 8 di Via Scarlatti, il 29 novembre 1937.

Eduardo De Simone e sua moglie Gisella quel giorno sono felici è nato il primo figlio: un maschietto, si chiamerà Sergio.
L'Italia fascista non ha ancora varato leggi razziali, Gisella che è israelita pensa al suo bambino e al futuro che avrà.
Papà Eduardo è in Marina, imbarcato. La guerra è lontana, probabilmente non ci sarà. Gisella è nata a Vrhnika in Jugoslavia e in quel giorno di novembre mentre guarda il suo bambino ha da poco compiuto trentatré anni.
Come si siano conosciuti Eduardo e Gisella non sappiamo. Forse Eduardo era arrivato a Fiume per lavoro, forse aveva visto quella bella ragazza durante una passeggiata in una giornata di riposo. Gisella viveva lì a Fiume e forse incontrò per la prima volta Eduardo mentre passeggiava con Mira e Sonia le sue due sorelle o mentre teneva per mano il fratellino Giuseppe. Probabilmente quando Gisella decise di parlare di Eduardo ai suoi genitori il padre Mario Perlow avrà scosso la testa, avrà pensato che il matrimonio con un ragazzo napoletano avrebbe allontanato da sé la figlia. Forse avrà incrociato con lo sguardo quello di sua moglie Rosa per capire cosa ne pensasse.
In fondo non ha molta importanza sapere come Eduardo conobbe Gisella. Di certo sappiamo che quando si sposarono Gisella se ne andò con Eduardo a Napoli, in un'altra città di mare come Fiume. Certamente quel 29 novembre 1937 Eduardo telegrafò a Fiume per far conoscere la buona notizia ai nonni, alle zie, allo giovane zio.

Mentre Sergio si fa grande il mondo comincia a bruciare.
Nel settembre 1939 i giornali annunciano che la Germania è entrata in guerra. Il 10 giugno 1940 anche l'Italia fascista entra nel conflitto.
Eduardo è sempre più spesso lontano come tanti, come tutti. In quasi tre anni di guerra la vita si è fatta sempre più difficile. Napoli subirà pesantissimi bombardamenti: quasi 10.000 mila case cadranno sotto le bombe. Ed è forse per paura degli aerei Alleati, forse perché si sente sola Gisella decide di trovare rifugio a Fiume che le sembra più sicura, che le sembra più lontana dal fronte che dopo lo sbarco americano in Sicilia si avvicina sempre di più.
Così Gisella e il piccolo Sergio raggiungono Fiume.
L'8 settembre del 1943 l'Italia firma l'armistizio con gli Alleati, mentre il generale Badoglio annunzia che "la guerra continua", a Fiume cambiano molte cose.
I tedeschi occupano l'Italia, ne strappano ampie zone, le pongono sotto la sovranità del Reich. Fiume entra a far parte dell'Adriatische Kusterland.
Arrivano nuovi padroni. Arriva Odilo Globocnik e tutti gli uomini che hanno prima gasato migliaia di disabili tedeschi nel quadro del progetto eutanasia e che poi, hanno costruito Treblinka, Sobibor, Belzec. Arrivano a Trieste e Fiume gli uomini che hanno mandato nelle camere a gas quasi un milione e mezzo di ebrei.
Arrivano e la caccia agli ebrei si apre.

Gisella e Sergio non tardano a cadere nella rete. Il 21 marzo 1944 le SS fanno irruzione nell'appartamento dei Perlow in via Milano 17 arrestano Gisella, Sergio, le zie Mira e Sonia, lo zio Giuseppe.
Tutti sono portati al campo di concentramento di San Sabba. Il tempo di una giornata ed il 29 marzo vengono fatti salire sul convoglio T25: destinazione Auschwitz.
Quel treno attraversò l'Europa in quell'inizio di primavera, dopo centinaia di chilometri entrò nel campo di Auschwitz. Erano trascorsi 6 giorni di viaggio.
Centotre maschi vengono inviati subito alle camere a gas, i rimanenti 29 vengono marchiati sul braccio con i numeri dal 179587 al 179615. Cinquantatré donne - tra le quali Gisella, Mira e Sonia - vengono marchiate con i numeri dal 75460 al 76512.
Da questo momento Sergio diventa il prigioniero A 179614. Per un poco viene lasciato con sua madre poi, il 14 maggio 1944, il dottor Josef Mengele seleziona Sergio lo sottopone ad esami del sangue e lo fa operare alle tonsille.
Insieme con lui vengono selezionati altri 19 bambini: 9 maschi e 10 femmine.
Il documento che riporta questa attività di Mengele sfugge miracolosamente alla distruzione degli archivi. Rappresenta l'unico documento ufficiale della tragedia che sta per accadere.

Sergio è solo. Lo portano al Block 10, la "Baracca dei bambini".

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domenica 10 gennaio 2010

L'artista

MI INCANTA IL MORMORIO DI UN'APE
SE QUALCUNO MI CHIEDE PERCHE'
PIU' FACILE MORIRE CHE RISPONDERE.
IL ROSSO SOPRA IL COLLE
ANNULLA LA MIA VOLONTA'
SE QUALCUNO SOGGHIGNA
STIA ATTENTO, PERCHE' DIO E' QUI
QUESTO E' TUTTO.
LA LUCE DEL MATTINO
MI ELEVA DI GRADO
SE QUALCUNO CHIEDE COME
RISPONDA L'ARTISTA
CHE MI TRATTEGGIO' COSI'.

EMILY DICKINSON

venerdì 8 gennaio 2010

Sera

IL SOLE TRAMONTAVA, CONTINUAVA A TRAMONTARE
E IO NON PERCEPIVO SUL VILLAGGIO
I COLORI DELLA SERA
DI CASA IN CASA ERA MEZZOGIORNO.
IL GIORNO SI ATTENUAVA, CONTINUAVA AD ATTENUARSI
NON C'ERA RUGIADA SULL'ERBA
SI POSAVA SULLA FRONTE
E POI MI SI SPARGEVA SOPRA IL VISO.
DORMIVANO I MIEI PIEDI, CONTINUAVANO A DORMIRE
MA LE DITA ERANO SVEGLIE
E TUTTAVIA
PERCHE' UN COSI' LIEVE SUONO
VENIVA DALLA MIA SEMBIANZA?
CONOSCEVO BENE LA LUCE, PRIMA
E NON LA POSSO PIU'VEDERE ADESSO.
QUESTO E' MORIRE, E IO STO MORENDO
E NON HO PAURA DI SAPERLO.

EMILY DICKINSON

domenica 3 gennaio 2010

Debito

Tra tutta questa morte che è venuta e viene,
guerre, esecuzioni, processi, morte e ancora morte
malattie, fame, fatalità fatali,
amici e nemici assassinati da sicari,
stroncature sistematiche e necrologi pronti,
la vita che vivo è quasi un dono.
Un dono della sorte, se non un furto della vita altrui,
perché la pallottola a cui scampai non andò a vuoto
ma colpí l'altro corpo che si trovò al mio posto.
Cosí, come un dono immeritato, mi fu data la vita,
e tutto il tempo che mi resta
è come se mi fosse stato regalato dai morti
per narrare la loro storia.

Titos Patrikios

I dieci versi dalle canzoni di Battiato da appuntarsi e non dimenticare

Il cantautore, morto ieri nella sua residenza di Milo, era nato a Jonia il 23 marzo del 1945. Ha spaziato tra una grande quantità di generi,...